Alfano e Confalonieri fermano il blitz dei falchi

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ROMA — Qualcuno di loro lo trova «provato», per qualcun altro è «comprensibilmente stanco», per altri ancora «leggermente incupito». Ma il Silvio Berlusconi che alle dieci di ieri sera è seduto alla tavola di Palazzo Grazioli, circondato dai ministri pidiellini del governo Letta e dai due capigruppo, è un politico ferito ma ancora disposto a lottare. Sarà la tattica di chi sa di dover iniziare da oggi una lunghissima partita a scacchi col Quirinale, sarà la voglia di allontanare lo scenario delle dimissioni dal Senato che pure aveva messo in conto, sta di fatto che — prima che vengano serviti gli antipasti — il Cavaliere scodella di fronte ai commensali la posta in gioco del dialogo con Giorgio Napolitano.
Il tempo dei tecnicismi — che sia il percorso per la grazia o la ricerca di un’amnistia — non è ancora arrivato. L’unica cosa certa è che Berlusconi, in cambio del sostegno al governo Letta ribadito con forza ancora ieri, si aspetta che il Colle gli garantisca in qualsiasi modo quella che un testimone della cena di ieri chiama «l’agibilità politica». Una via, insomma, che consenta a un condannato con sentenza passata in giudicato di non essere privato del suo ruolo alla guida del centrodestra italiano. Che, in fondo, è un tema che coincide con la frase che Renato Brunetta ha indirizzato l’altro giorno a Napolitano dall’assemblea dei parlamentari del Pdl e che verosimilmente ribadirà oggi quando insieme a Renato Schifani salirà al Quirinale. «Presidente, faccia un gesto perché dieci milioni di italiani non siano privati del loro leader».
Un gesto di Napolitano, l’agibilità politica di Berlusconi. È questa la rotta del percorso che il Cavaliere continua a mettere in cima ai suoi desiderata. E questa strada, almeno a ieri, sembrava un pochino più lontana dal tema della grazia se è vero, com’è vero, che tanto Gianni Letta quanto i ministri del governo hanno fatto sapere al «Presidente» che l’unica via stretta per arrivare al provvedimento di clemenza è un’uscita di scena, con tanto di dimissioni dal Senato. Il contrario dell’agibilità politica.
Ma se la giornata di ieri consentirà alla delegazione del Pdl di presentarsi oggi al Colle forte del «sostegno» al governo ribadito da Berlusconi, questo lo si deve ai «pompieri» che attorno all’ora di pranzo hanno spento in extremis un incendio doloso. Per tutta la mattinata, infatti, i falchi del Pdl tentano un «blitz» per cambiare segno alla manifestazione di Palazzo Grazioli e trasformarla da un’adunata di «colombe» a una prova di forza nei confronti del Quirinale. Ci prova per prima Daniela Santanchè, dicendo a Berlusconi «che non possiamo mostrarci deboli». Poi è il turno di Maurizio Gasparri, un altro che riesce a contattare Berlusconi: «Dobbiamo premere sull’acceleratore. È giusto che anche i ministri vengano in piazza con tutti noi». Nel piano dei «falchi», l’adunata sotto Palazzo Grazioli deve trasformarsi nella prima iniziativa della prossima campagna elettorale. Infatti, più d’uno suggerisce al Capo di far venire anche la figlia Marina.
Secondo alcune ricostruzioni è in quel momento — e siamo poco prima dell’ora di pranzo — che Berlusconi vacilla. Angelino Alfano, quando sa del blitz dei falchi, è furibondo: «Se in piazza veniamo noi ministri, il governo salta subito». Ed è lo stesso identico adagio con cui i due amici di una vita, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, convincono il Cavaliere a non cedere alle pressioni dell’ala dura del Pdl. Alle 14, quando alla manifestazione di Roma mancano ancora quattro ore, su Palazzo Chigi incombono i più oscuri presagi. Non a caso Enrico Letta, che fiuta l’allarme dopo alcuni contatti col suo vicepremier, avverte Guglielmo Epifani: «Vediamoci dopo la manifestazione di Berlusconi perché può davvero succedere di tutto». Non succederà nulla soltanto grazie a un nuovo giro di telefonate con cui, a turno, Alfano, Gianni Letta e Confalonieri convincono l’ex premier a evitare mosse azzardate.
I ministri tirano un sospiro di sollievo. «Io non ho la presunzione di indicare la strada giusta a Berlusconi. Ma non consentirò che qualcuno balli sulle disgrazie del nostro Presidente. Mi riferisco sia a chi sta a sinistra che ad alcuni che stanno tra di noi», scandisce Nunzia De Girolamo dalla macchina che la sta portando verso Palazzo Grazioli. E ancora: «Berlusconi ha detto che non molla e noi stiamo tutti con lui. Ma è un uomo di Stato e non avrebbe mai consentito a uomini e donne del governo di mettere in imbarazzo le istituzioni».
Dello stesso avviso, seppure senza fare espressamente i nomi di Santanchè e compagnia, era stata Mariastella Gelmini. «Berlusconi ha fatto un discorso da statista. E qualcuno tra di noi, oggi, ci sarà rimasto male», aveva sussurrato in piazza l’ex ministro. Un adagio confermato dalla leader dei giovani di Forza Italia Annagrazia Calabria («Berlusconi ha dimostrato di essere un uomo di Stato») e anche da Mara Carfagna («Manifestazione pacifica e bellissima»). E l’allarme scende da rosso ad arancione. Nonostante quel gesto per l’agibilità politica che il Cavaliere si aspetta da Napolitano. E nonostante la posizione berlusconiana sulla magistratura che «in democrazia» si può criticare rimanga costante, ferma, inscalfibile.
Tommaso Labate


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