Il Cavaliere studia le mosse tra aperture e stop

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ROMA — L’opera di convincimento durata giorni, e culminata nel lungo vertice di lunedì ad Arcore con Gianni Letta e i suoi avvocati Longo e Ghedini, per ora ha prevalso. Niente tuoni e fulmini, niente tavoli che saltano per aria. «Più di così, non si poteva ottenere», le parole ripetute da Letta, Ghedini, Longo nel filo diretto con Arcore, e con la consapevolezza — dopo contatti intensi e informali con il Quirinale che andavano avanti da giorni — che grazie alla nota di Napolitano si aprono «percorsi» e «possibilità» che vale eccome la pena di valutare e accogliere con soddisfazione.
Silvio Berlusconi non esulta per le parole di Napolitano, non vede come ciambella di salvataggio la nota con la quale il capo dello Stato lascia aperti «spiragli» ma senza spalancare porte. Ma non scatena la guerra, tutt’altro. «Io davvero non so che dire, non so bene come giudicare tutto questo», ha confessato ai direttori Mediaset e dei suoi giornali che ieri sera ha ricevuto a cena. «Ci sono passaggi che sembrano andarmi incontro, altri che non si capiscono, alcune sembrano aperture, altre no, anche la questione dell’agibilità politica, se resta con le pene accessorie o no non è chiaro. E questo è un punto cruciale…».
Dunque, la decisione al momento è quella di tacere: «Il presidente non commenta», fa sapere Paolo Bonaiuti. E il silenzio è già un commento. «Devo riflettere, devo vedere quali possono essere le prossime mosse. Perché per me continua ad essere insopportabile l’idea di dover scontare una condanna per una colpa che non ho commesso. Io sono innocente, e mi indigna passare per colpevole, dovermi trovare privato dei miei diritti politici, della mia libertà personale. Tutto questo è intollerabile».
E però, allo stato, è il Berlusconi che fa buon viso a cattivo gioco quello che prevale. È il Berlusconi che non minaccia, non scatena i falchi, che lascia che i suoi — da Cicchitto alla Gelmini a Romani — colgano gli «aspetti positivi», gli «spiragli» che si aprono, quello che predomina.
Con amarezza, certo, e con molti dubbi. Ma anche con la consapevolezza che sono fondate le parole che lunedì gli hanno ripetuto incessantemente Letta, Ghedini, Longo: «Silvio, quello che ragionevolmente possiamo ottenere è che si apra un percorso che porti alla fine anche alla grazia, che comunque tu venga ancora considerato come un soggetto politico che ha la dignità di rappresentare il suo partito, ma soluzioni miracolose non ci sono, e tantomeno Napolitano ti concederà mai le elezioni. Se andiamo alla crisi per te sarà peggio, non avrai più alcuno scudo, mentre se accetti la sentenza manterrai quello del governo e quello del Quirinale», il senso delle raccomandazioni che tutta l’ala moderata ha continuato a fargli.
E di più: ieri nei ragionamenti dei fedelissimi con l’ex premier si è messo l’accento sul fatto che dalle parole di Napolitano sembra che si facciano più sfumati, più lontani i rischi di nuove condanne per gli altri processi in corso. Quel «non sconterà la pena in carcere», chiaramente riferito alla sentenza Mediaset, potrebbe far pensare anche a scenari futuri. Così come l’accenno alla possibilità di restare leader del Pdl, e soprattutto la possibilità concreta che, su richiesta, possa arrivare anche la grazia.
Su questo punto però Berlusconi è ancora in preda ai dubbi: chiederla o no? E dimettersi o no da senatore per favorire il processo di «pacificazione» parlamentare che aiuterebbe lui e tutto il suo mondo, comprese le sue aziende che restano una grande preoccupazione per il Cavaliere? Decisioni cruciali che ancora non avrebbe maturato, ma che i falchi del Pdl temono stia per prendere, finendo in una «trappola» dalla quale non uscirebbe più.
Sì perché il timore dell’ala dura è che il Cavaliere finisca per cedere «ancora una volta» alle «mezze promesse» di Napolitano senza poi ottenere nulla in cambio. E senza avere alcuna arma per difendersi, una volta chiusa la possibilità di ricandidarsi tornando al voto. Ma d’altronde, anche ieri Napolitano ha sbarrato la strada a ipotesi di voto anticipato, e Berlusconi è stato costretto a prenderne atto. «Al momento — ha ripetuto ai suoi — dobbiamo riflettere, con calma. Non possiamo permetterci forzature». E andrà valutato anche l’atteggiamento del Pd, perché come dice una delle colombe che invece si ritiene più che soddisfatto dalle parole di Napolitano «se per noi quella nota è positiva al 60%, per loro lo è al 40%. I più delusi sono loro».
Insomma, inizia una nuova partita, quella per l’«agibilità politica» alla quale Berlusconi non ha ancora rinunciato. Perché appunto continua a non essere chiaro quello che potrà essere il ruolo concreto di Berlusconi come leader del Pdl, sia nel periodo di affidamento ai servizi sociali o in caso di arresti domiciliari, sia in caso di grazia, perché il nodo delle pene accessorie che la Corte d’appello deve ricalcolare è lungi dall’essere sciolto. I punti interrogativi insomma restano tutti, così come la sfida per rimanere in campo. Ma per la quale, non è questo il tempo di scatenare guerre. Servono calma, e sangue freddo, quando si cammina su un filo.
Paola Di Caro


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