Quel faccia a faccia del premier con Lupi Poi il richiamo all’ala dura del Pd

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In una saletta della Fiera di Rimini, prima dell’intervento pubblico del presidente del Consiglio, le poche battute che scambiano il premier e il suo ministro non sono all’insegna dell’ottimismo. Poco dopo, dal palco, il capo del governo pronuncerà parole dure, anche contro il suo partito. I «professionisti del conflitto», coloro che preferiscono «lo scontro permanente al merito dei problemi», che lucrano «rendite» e carriere rinverdendo ogni volta che possono «la tradizione dei guelfi e dei ghibellini», sono anche a sinistra. Forse più a sinistra che a destra, con tanto di esegesi autorizzata da Palazzo Chigi.
Non è poco per il diplomatico Enrico Letta, il passaggio sulla presunta «superiorità morale di tanti», nel gioco del permanente conflitto politico, è fin troppo chiaro per non essere diretto agli esponenti del Pd, a tutti coloro che anche a sinistra preferiscono la retorica, il proclama, le patenti di legittimità o moralità al confronto politico basato sul merito.
È un modello che sembra parafrasato da Sciascia: allora erano i professionisti dell’antimafia, categoria che si occupava, a detta dello scrittore, di proclamare e dare patenti piuttosto che agire contro il crimine organizzato. A detta di molti la categoria è più viva che mai in quel settore, per il premier è più che attiva anche in Parlamento, nel dibattito politico, anche nel suo partito, oltre che in quello del Cavaliere. Una categoria per cui «conta solo il nemico, per cui il conflitto scusa e consente tutto, lasciando di lato i problemi reali del Paese».
Un mese fa alla Camera, nel corso di una commemorazione di Beniamino Andreatta, Letta aveva coniato un’altra espressione, quella dei «vocianti», di tutti coloro che hanno il gusto di sfasciare più che di costruire, secondo una logica di breve periodo, tesa a vincere nel confronto fatto di dichiarazioni piuttosto che nelle urne.
Parole e argomenti del premier, a caldo, vengono valutati positivamente nel Pdl, forse anche Berlusconi resterà soddisfatto, ma che a giudicare dall’espressione di Lupi rischiano di essere tardivi. Letta dal palco dice che sarebbe un delitto fare cadere il governo, che c’è una missione da portare a termine, che solo coloro «che non credono nella propria identità, nei propri valori, non sono in grado di apprezzare il valore dell’incontro, ne hanno paura»: incontro inteso fra partiti e tradizioni e diverse, quella strana maggioranza che sostiene il suo sforzo di governo, la voglia di traghettare il Paese verso una stagione di ritrovato sviluppo, almeno sino alla fine del semestre italiano di presidenza della Ue.
Basterà? La delegazione del Pdl al governo si sente impotente, incapace di invertire lo stato delle cose. Il sospetto di Alfano e di Lupi è focalizzato su un progetto di esecutivo alternativo, Pd e grillini insieme, quello che non riuscì a Bersani e che potrebbe tornare attuale con la condanna giudiziaria contro Berlusconi e la conseguente decadenza da senatore. Una crisi senza voto, un’altra maggioranza. Mario Mauro, altro ministro presente al Meeting, non ci crede: Grillo ed Epifani insieme sembra al momento fantapolitica. E poi chi guiderebbe un nuovo governo?
Letta da parte sua tira dritto e nasconde le preoccupazioni: si è scagliato contro i professionisti del conflitto, magari i sospetti di Lupi ed Alfano sono suggestioni che maturano insieme ai proclami dei professionisti, frutto di un clima di diffidenza che di sospetti si nutre. Nel viaggio in macchina che lo riporta a Roma, nel tardo pomeriggio, ci tiene a ribadire che non entra e non vuole entrare nel dibattito precongressuale del Pd. Ritiene forse di arrivarci, al congresso, ancora in carica. Ha meno paure, forse, dei suoi ministri.
Marco Galluzzo


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