Letta va alla ricerca di una mediazione «Ma è necessario sanzionare Damasco»

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SAN PIETROBURGO — Lontano da Roma Enrico Letta mostra il suo volto più disteso, parla in francese con Hollande, rinsalda in inglese l’intesa generazionale con Obama e Cameron e anche con Putin, l’amico storico di Berlusconi, conclude un bilaterale «molto significativo» per gli interessi italiani. «Ho spinto fortemente il presidente del summit — racconta — a guidare un G-20 che passi alla storia come il vertice della fine della crisi». Ma nella cronaca di oggi è la Siria che brucia e su questo fronte il premier è molto attivo, più distante dal presidente russo e più vicino a Obama. Ribadisce l’impossibilità di prender parte a un’azione punitiva che non avvenga sotto l’egida dell’Onu e scandisce che «l’Europa non può andare in ordine sparso». Un tasto sul quale insiste anche a sera quando, a margine della cena, si chiude con Hollande, Cameron, Merkel, Rajoy, Barroso e Van Rompuy alla affannosa ricerca di un’Europa che parli «con una voce sola». Prima di chiudere al termine della cena con un messaggio via Twitter ripreso dai media internazionali: «E’ terminata ora la sessione serale dove si è certificata la divisione sulla Siria». Lo sforzo di Letta mira a «non isolare Francia e Stati Uniti ed evitare una spaccatura dell’Unione». Ed è per questo che nei ragionamenti del premier si colgono accenti nuovi. Dalla tessitura diplomatica di Palazzo Chigi traspare la decisione di offrire a Washington un appoggio politico forte e pieno: «La condanna di Assad deve essere inequivoca, l’idea che ci possa essere impunità per chi usa armi chimiche non deve passare. Dobbiamo trovare forme e modi perché la sanzione ci sia». E il grande freddo tra Italia e Stati Uniti? A Letta proprio «non risulta» e anzi il consigliere diplomatico Armando Varricchio definisce «molto forte» il rapporto con il presidente Usa. Secondo Letta, l’inquilino della Casa Bianca sta tenendo un atteggiamento «positivo e intelligente», che può favorire una via di uscita comune: «È assolutamente possibile che si trovi un’intesa».
Il premier si muove tra la cautela e la voglia di giocare un ruolo significativo sullo scacchiere internazionale, ora che i suoi lo descrivono «inserito a pieno titolo nel club dei grandi». Resta da capire cosa farà l’Italia di fronte a un attacco militare e su questo interrogativo Letta fissa un punto che definisce chiaro e certo: «L’Italia non ha nessuna intenzione di strappare nei confronti dell’alleanza strategica con gli Usa. Ma è un passaggio molto delicato, sul quale ci sono approcci diversi…». In caso di intervento, saremo o no al fianco degli Usa? «Dipende da cosa succederà, ora non sono in grado di aggiungere altro».
Nel vertice con Putin (presente anche l’ad di Eni, Paolo Scaroni) Letta si era visto costretto a parlare soprattutto di affari energetici, avendo registrato la determinazione del padrone di casa ad affrontare il tema siriano solo a cena. Ecco perché, dopo l’incontro, un Letta «molto preoccupato» preme su Putin con maggiore prudenza: «Bisogna che il presidente di turno del G-20 prenda sul serio la lettera del Papa». E ancora: «Auspico che Putin usi tutte le armi per evitare strappi e trovare una soluzione positiva».
All’inizio del briefing informale, quando la stampa prova a incalzarlo su Berlusconi, Letta lascia trasparire il suo disappunto: «Possiamo non parlare di politica interna, per una volta? C’è tanto di cui discutere, qui…». Gli chiedono cosa farà se i ministri del Pdl dovessero dimettersi e lui, tra imbarazzo e fastidio: «Ci sono talmente tanti obbiettivi da raggiungere al G-20 che, se mi deconcentrassi, farei il danno dell’Italia».
È un modo per ricordare a Berlusconi che sarebbe una follia buttare a mare le larghe intese in piena bufera siriana e con gli investitori internazionali che ricominciano a diffidare del nostro Paese. «È il primo G-20 che si svolge senza che l’Italia sia il grande sorvegliato speciale — avverte —. E vorrei che tutti fossero consapevoli dei benefici». Se il Cavaliere rompe, è il messaggio, dovrà assumersi la responsabilità della crisi davanti al mondo. Lui intanto tira dritto, puntellando a colpi di inviti il traguardo dei 18 mesi di governo. Nel 2014 il premier del Giappone verrà in Italia e Letta volerà in Cina. E quando il messicano Enrique Peña Nieto lo invita per gennaio nel suo Paese, Letta incrocia le dita: «Vengo volentieri e ti aspetto a Roma nella seconda metà del 2014, quando la presidenza di turno della Ue toccherà a me». Dove il non detto è sempre lo stesso e cioè che, per agganciare la ripresa, serve un governo senza data di scadenza.
Monica Guerzoni


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