Il richiamo di Napolitano «Unità o tutto è a rischio»

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Se infatti, come ha ricordato Stefano Folli, settant’anni fa si ebbe un «collasso delle istituzioni» (drammatizzato dalla sconfitta militare e dai lutti venuti dopo), non meno dure e difficilissime da gestire sarebbero adesso le conseguenze della caduta dell’ultimo governo possibile — e «senza alternative» — nella nostra transizione infinita. Uno scenario al quale evidentemente pensa Giorgio Napolitano, rievocando con una delegazione del Comune di Barletta guidata dal sindaco Pasquale Cascella (suo ex portavoce) i giorni della ribellione ai nazisti: «Se non teniamo fermi, anzi, se non consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale, tutto è a rischio».
Una frase rivelatrice dell’allarme con cui il presidente della Repubblica sorveglia lo scontro sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Uno scontro che avvicina l’ora zero annunciata da quando, dopo la sentenza della Cassazione, l’Italia è entrata in una devastante atmosfera di pre-crisi. La soluzione individuata ieri sera nella giunta per le elezioni di Palazzo Madama, lavorando sulle tecnicalità del regolamento e derubricando il peso delle pregiudiziali sulle quali lo stesso Pdl si era incartato, ha consentito di lucrare un po’ di tempo rispetto a chi intendeva al contrario accelerare al massimo il voto. E soprattutto di attutire, almeno provvisoriamente, gli effetti di un contrasto che ieri pomeriggio sembrava irreparabile.
Merito anche del capo dello Stato? Al Quirinale nessuno conferma i contatti e le mediazioni di cui vanno almanaccando parecchi leader politici a Montecitorio e dintorni. Tantomeno nessuno raccoglie le voci che danno per imminente un nuovo segnale pubblico da parte di Napolitano. Un messaggio — profetizzavano inutilmente i boatos ieri pomeriggio — che si azzardava calibrato in maniera tale da consentire al leader del centrodestra di scegliere in prima persona un’uscita di scena non traumatica e con l’onore delle armi, senza farsi votare la decadenza e senza far cadere il governo, così dimostrando di avere quel senso di responsabilità sempre evocato.
Ipotesi tutte poco plausibili, tenuto conto che il presidente ha indicato chiaramente limiti e regole di un proprio intervento di clemenza e ormai non può inserirsi con la fase parlamentare della partita, pena il pericolo di esporsi a interferenze. Certo, dal Colle affiora che lassù «si vedrebbe con grande favore lo sviluppo del dibattito in giunta in un clima più disteso», ma dietro questa cautissima formula esortativa non si intravvede nulla più che un pio desiderio. La speranza del capo dello Stato è, in realtà, più semplice e ambiziosa. Si fonda su precondizioni intuibili da chiunque: che il Cavaliere ritiri in extremis le sue minacce sull’esecutivo di Enrico Letta e salvi quelle «larghe intese» che ha contribuito a far insediare. Ciò che, accompagnato da un silenziatore nella crociata contro la magistratura, renderebbe magari praticabile, al Quirinale, l’esame della «pratica Berlusconi», una volta che questa fosse aperta secondo le procedure.
Bisognerebbe, insomma, che si lasciassero decantare gli umori esasperati di questi giorni e si neutralizzasse la logica da resa dei conti in cui la politica si sta avvitando. Altrimenti si arriverà a una sorta di nuovo 8 settembre e allora davvero potrebbero materializzarsi gli scenari e piani B (o C o D) al momento non considerati per evitare un ritorno alle urne che Napolitano farà di tutto per scongiurare.
Marzio Breda


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