Socialisti nel nome di Pertini

Loading

Guardo Renzi e mi sento come il mar­ziano di Ennio Fla­iano, scrive il pro­fes­sor Asor Rosa. Ana­grafe ed espe­rienze poli­ti­che mi acco­mu­nano alla mede­sima con­di­zione, denun­ciata con argu­zia e pro­fon­dità su que­ste colonne: anch’io mi sento «mar­ziano» rispetto al «nuovo corso» della poli­tica imper­so­nato dal segre­ta­rio del Pd. Oppure «mar­ziano» è lui, il che poi è lo stesso; resta incon­tro­ver­ti­bile il dato di una certa «inco­mu­ni­ca­bi­lità» tra il nostro mondo e il nostro modo di guar­dare alla realtà e quello del sin­daco fiorentino.

Potrebbe sem­brare effetto di un salto gene­ra­zio­nale, ampli­fi­cato dall’incedere tec­no­lo­gico e dall’uso assai disin­volto dei tweet o dei post (mai avrei imma­gi­nato, per esem­pio, un pre­si­dente del con­si­glio che li rite­nesse sosti­tu­tivi dei comu­ni­cati uffi­ciali di palazzo Chigi), se non fosse che in que­sta sen­sa­zione di «stra­nia­mento» non avessi incon­trato lungo la strada, in que­sti mesi, tanti altri «mar­ziani» come me, come Asor Rosa. In buona sostanza, degli «eso­dati» dall’empireo della casta e di una poli­tica che fa della fretta e dell’annuncio estem­po­ra­neo la pro­pria cifra saliente.

Si tratta di per­sone di tutte le età e di ogni con­di­zione sociale. E più la con­di­zione eco­no­mica è diri­mente rispetto al loro «sta­tus», più sem­bra con­tare il dato dell’«incomunicabilità» rispetto a Renzi. Che non col­pe­vo­lizzo affatto, oppo­nen­dosi egli — come Asor Rosa spiega da par suo — con le stesse armi ai suoi fra­telli car­nali e mag­giori, il ber­lu­sco­ni­smo e il gril­li­smo. Di più: penso che rispetto alla morta gora della poli­tica ita­liana, il ren­zi­smo potrebbe per­sino sor­tire qual­che effetto posi­tivo. Per ete­ro­ge­nesi dei fini, ose­rei dire.

Ma i mali che rischia di pro­durre il «nuovo corso» sono mag­giori e più dura­turi di qual­che even­tuale, effi­mero risul­tato. Que­sto per­ché c’è un altro punto dell’intervento di Asor Rosa che ritengo fon­da­men­tale, e mi fa pia­cere l’arrivo del pro­fes­sore nella schiera di «irri­du­ci­bili» cui mi onoro di appartenere.

La sua cri­tica alle lea­der­ship del Pci-Pds-Ds è coe­rente e a me nota da tempo, eppure non sapevo che egli asse­gnasse agli errori com­messi dalla vec­chia diri­genza post-comunista anche un pec­cato ori­gi­nale, fonte dei mali che entrambi denun­ciamo: il man­cato approdo all’«opzione socia­li­sta» da parte degli uomini del Pci, frutto di un cal­colo oppor­tu­ni­stico che alla lunga ne ha dimo­strato la mio­pia di visione.

Non aver fatto i conti con la pro­pria sto­ria, con la sto­ria del movi­mento degli ope­rai e dei con­ta­dini, con l’influenza per­ni­ciosa che in Ita­lia ebbe un filone del movi­mento ope­raio legato agli inte­ressi dell’Unione Sovie­tica, fino a rele­gare il par­tito socia­li­sta in secondo piano rispetto al Pci, credo che abbia con­di­zio­nato for­te­mente l’intera sto­ria del nostro paese e, come segnala anche Asor Rosa, vani­fi­cato un’identità e reso vacuo un oriz­zonte, fino all’esito del «ren­zi­smo» come ver­sione edul­co­rata di un ber­lu­sco­ni­smo di centrosinistra.

Ora occorre ricreare una cul­tura di sini­stra, dice Asor Rosa. E socia­li­sta, aggiungo io. Con­for­tato dal fatto che in giro per l’Italia ho incon­trato e incon­tro sem­pre più per­sone che a quella sto­ria non vogliono rinun­ciare, che non accet­tano una facile equa­zione socialisti=ladri (e posso ben dirlo io, dopo una vita spesa a com­bat­tere certe derive cra­xiane nel Psi e la cor­ru­zione impe­rante in ogni gan­glio della prima come della seconda Repubblica).

Si tratta di un patri­mo­nio che nasce attorno all’azione dei socia­li­sti nelle prime bat­ta­glie di riven­di­ca­zione dei lavo­ra­tori, e poi all’azione dei socia­li­sti nei par­la­menti post-unitari, da Andrea Costa a Filippo Turati a Gia­como Mat­teotti. Si tratta, aggiungo, di una lezione che attra­verso anche il lie­vito del Par­tito d’Azione, dei Ric­cardo Bauer e Ric­cardo Lom­bardi, dei Fer­ruc­cio Parri e dei Nor­berto Bob­bio, arriva nel dopo­guerra a rico­struire dalle mace­rie il paese e, con esso, il par­tito socia­li­sta. Un impe­gno pro­fes­sio­nale e poli­tico tota­liz­zante, che ho cono­sciuto da bam­bino in fami­glia in Cala­bria, con l’adesione di mio padre, medico, e di un gruppo di con­ta­dini, al Par­tito d’Azione.

Un Pan­theon di nomi che va dai fra­telli Ros­selli a Pie­tro Nenni e alle decine di per­so­na­lità che tra­la­scio per bre­vità, trova nel par­ti­giano San­dro Per­tini il punto d’incontro e la «summa» pos­si­bile di un socia­li­smo popo­lare e con­creto, fatto di azione e one­stà, di giu­sti­zia e libertà.

La rispo­sta moderna che affonda le radici nella tra­di­zione: quello che ci vor­rebbe. Per­ciò io sfido chi ci sta a par­tire pro­prio da qui, dalla gran­dezza di Per­tini, che faceva dell’esempio l’unico inse­gna­mento pos­si­bile per i gio­vani. L’unico anti­doto al vor­tice di parole vuote, e paro­lai, che strin­gono l’Italia nella morsa.


No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment