I franchi tiratori ad personam

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 E dunque ha ragione Beppe Grillo, anche se la sua cattedra non è specchiata perché nel suo Movimento il dissenso non solo non è garantito ma è addirittura espulso. È però allarmante l’idea di rendere inefficace il nascondiglio con un trucco, di marchiare ed esibire la fedeltà con una foto che diventerebbe lo scontrino della propria onestà, la ricevuta fiscale della propria lealtà. Né si può cambiare in corso d’opera il regolamento e bloccare il voto segreto mettendosi in questo modo dalla parte del torto.Non so se è vero che le pattuglie dei franchi tiratori del centrosinistra stanno organizzando i loro agguati né se è vero, come si dice, che commando di grillini sono pronti a votare di nascosto contro la decadenza di Berlusconi per poi addossare quei voti all’odiato Pd, con un doppio gioco indecente. Il senatore Casson assicura infatti che «noi del Pd siamo tutti d’accordo» ma i grillini reagiscono con sdegno all’infamia di queste accuse.
È probabile che siano trasversali sia l’irritazione sia le cattive intenzioni. E non si tratta soltanto di ridicolaggini stizzite, come appunto infilare solo l’indice della mano sinistra nella feritoia del voto perché con quel dito non si potrebbe raggiungere il pulsante “contro” (sarà vero?). Ma si tratta di impulsi, scusate la parolona, alla fine liberticidi. Perché così, con il voto di nascosto, con il franco tiratore autentico e quello falso, con il trucco della prova-verità che può diventare doppio trucco – il “barba trucco” si chiamava nel gergo dei fumetti – , con il vero traditore che dà del traditore al tradito…, insomma in questo clima grottesco di sospetti si impastano solo le ribalderie. E ieri un allegro tweet firmato Annalisa Chirico dava il seguente consiglio ai grillini: “Perché non votate per alzata di mano e poi tagliate quelle che sbagliano?”.
Di sicuro stiamo assistendo a un’evoluzione imbarazzante dell’antica specie guerrigliera dei “franchi tiratori”, fucilatori protetti dall’ombra che credevamo sepolti insieme al sistema proporzionale. Ed è bene ricordare che i cecchini per oltre sessanta anni furono l’incubo di tutti i governi italiani, a nessuno dei quali consentivano di governare.
Amici del nemico e nemici dell’amico, i franchi tiratori degradavano infatti il confronto politico a gioco delle tre tavolette rendendo friabile e precaria qualsiasi maggioranza e riducendo all’impotenza i governi. Con dei paradossi straordinari come la caduta dell’ultimo governo Cossiga che pose e ottenne la fiducia con il voto palese e, poche ore dopo, con il voto segreto, finale, sulla stessa legge quel governo fu bocciato.
Ebbene la specie è risorta, come tutti sappiamo, con i 101 sicari che bocciarono la candidatura di Romano Prodi al Quirinale. Un numero così alto per la verità si era visto solo raramente nella pur lunga storia del cecchinaggio politico italiano. I franchi tiratori infatti sono pattuglie e non legioni, sono biscazzieri e non rivoltosi. Furono i guastatori senza nome di Andreotti, di Forlani e di De Mita che, molti anni fa, quando fu impallinata la candidatura del socialista Vassalli, li definì affettuosamente «i nostri rubagalline».
Sono dunque tornati i tempi della politica come guerriglia di palazzo, tradimento programmato, agguato all’alleato, impallinamento del proprio candidato, quella politica che secondo Donat Cattin conosceva solo tre mezzi tecnici per far fuori l’odiatissimo compagno di partito (in quel caso era Giovanni Leone): «Il pugnale, il veleno e i franchi tiratori».
Meno sincero, Schifani ora dice che i franchi tiratori garantirebbero «la libertà di coscienza». Ma Schifani non spiega perché un senatore dovrebbe vergognarsi del proprio voto favorevole a Berlusconi soprattutto se è al servizio della propria coscienza e dunque sostenuto da forti e nobili argomentazioni. Se davvero fosse uno scatto virtuoso e probo questo eventuale, presunto voto a Berlusconi, di cui fantastica Schifani, non sarebbe concesso di nascosto, perché i segreti custodiscono gli atti indecenti e non quelli decenti, tutelano la volgarità e non l’eleganza. Il voto segreto nel Parlamento italiano non ha mai liberato le coscienze ma ha sempre alimentato transazioni d’affari ed è dunque probabile che, anche questa volta, se il Senato davvero si dovesse pronunziare sulla decadenza di Berlusconi, alimenterebbe
baratti e compravendite e non certo la moralità.
Solo la democrazia, trasparente come una casa di vetro, garantisce la libertà e dunque il dissenso del senatore socialista del Pd Enrico Buemi che ha detto di essere fortemente tentato di votare contro la decadenza di Silvio Berlusconi soprattutto perché, se ho ben capito, non vuole che insieme con lui cada il governo.
Buemi, che fa parte della Giunta, difende apertamente la nobiltà del proprio dissenso, a costo di essere annaffiato da qualche scalmanato del suo partito, come è purtroppo capitato a Luciano Violante alla festa del Pd. A Buemi non passa per la testa di trasformarsi in un cecchino perché non è un vigliacco.
Ripetiamolo: il voto segreto è un abominio. Ma è troppo tardi per modificare il regolamento del Senato. Cambiarlo proprio adesso, come pretende Grillo, e dunque impedire il ricorso a questo stramaledetto nascondiglio voluto dal Pdl (basta la richiesta firmata da venti senatori) sarebbe un altro abominio. Un provvedimento
contra personam non può mai essere né leale né giusto, e meno che mai per colpire, con un contrappasso, il re delle leggi ad personam.


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