I penultimatum di Arcore

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Il drammone a tinte fosche si trasforma in sceneggiata napoletana: «‘o guappo songh’io, ‘o guappo non sei tu» canta Mario Merola, famoso «omo e ferro». E Berlusconi farebbe pena, anche se colpevole, se avesse una misura.

SE NON vivesse persino il dolore e la decadenza dentro gli eccessi, gli spropositi, il kitsch dell’anima. Ieri mattina, per esempio, aveva ordinato ai ministri di dimettersi venerdì, aveva chiamato Marina e le aveva chiesto di tenersi pronta al sacrificio, aveva messo in allarme il fido Mimun del Tg5 annunziandogli una cassetta con un messaggio agli italiani. Il testo lo ha scritto la settimana scorsa, ma non l’ha ancora registrato. Lo ha rivisto con Cicchitto, è una specie di storia della colonna infame, l’uso politico della giustizia, la via giudiziaria al comunismo.
Ma quando tutto era già avviato, ieri pomeriggio, ci ha ripensato. Gianni Letta infatti gli ha mostrato l’altra faccia della sua paura, il crollo in Borsa di Mediaset, il fallimento della Fininvest, un governo con Grillo, un Enrico Letta bis senza il Pdl, l’isolamento, e poi tutto lo “ziolettismo” felpato: «Stiamo trattando», «c’è la speranza della corte costituzionale », «non è detto che non si ottenga la grazia, a certe condizioni»…
Dunque l’ultimatum è diventato di nuovo penultimatum, è prevalsa la cautela, il naufrago si è aggrappato a tutto ciò che galleggiava pensando di tornare gran nocchiero d’altura.
Adesso, però, mentre scrivo, Berlusconi è a cena con la Santanchè e con Sallusti e sono già scoppiati altri petardi, nuovi serpenti di fuoco sono scattati nell’aria scura di Arcore. Alle 21,30 dunque Mimun era di nuovo in allerta e ora al Tg5 dicono che il messaggio arriverà domenica. Di sicuro lunedì ci sarà un ufficio di presidenza del Pdl: un vero consiglio di guerra (per ora). Questa del penultimatum non è una strategia politica, non è doppiezza lucida e astuta. Berlusconi davvero si sente morire un tanto al giorno, passa il suo tempo a ruminare rimpianti e rancori, logorato dalla falsa moneta dei salvataggi impossibili. La Santachè, Verdini e Sallusti parlano la lingua che gli piace di più, toccano le sue corde più profonde, gli provocano fitte allo stomaco, malesseri fisici invincibili, sono un’onda di piena che travolge il suo corpo disfatto: «Napolitano ti consegnerà ai magistrati», «non c’è grazia possibile», «il solo lieto fine sono le elezioni».
E in questo codice di disfacimento più che di rivolta, Alfano e le colombe diventano «i traditori». Verdini gli ha portato un filmino e due registrazioni che provano «i traffici » di Quagliariello con Monti nel gennaio scorso, sotto la neve di Cortina, quando Monti era ancora superMonti e Berlusconi era dato per spacciato, proprio come oggi.
Quando è caricato come una molla, Berlusconi lancia dunque l’ultimo penultimatum: «Stiamo per staccare la spina, ce ne andiamo se il Pd non vota contro, se Napolitano non commuta la pena, se, se se… ». Ma in meno di mezza giornata tutto di nuovo si compone. Sia le colombe e sia i falchi gli rodono il fegato, quelli coccolandolo e questi eccitandolo. «La tua sopravvivenza politica è indispensabile innanzitutto a Napolitano» gli dicono le colombe. «Presto sarà troppo tardi perché sarai logorato da quest’attesa senza fine» replicano i falchi.
Attenzione però, potrebbe sembrare una lacerazione tra responsabilità e irresponsabilità, tra il Berlusconi statista, sia pure a modo suo, che vuole preservare l’Italia dal comunismo e il Berlusconi condannato che vuole salvare se stesso dalla galera. Non è così. Per lui l’alternativa è tra la guerra aperta alla legge e alle Istituzioni che lo hanno condannato per frode fiscale e gli chiedono conto di altri delitti e il pasticcio con le parti più molli di queste stesse istituzioni. La posta in gioco non è mai l’Italia. Ancora pensa di essere l’idealtipo hegeliano, di impersonare l’epoca, proprio come un autocrate orientale, come il suo amico Putin, come il kazako Nazarbaev.
Quanti penultimatum potrà ancora lanciare? Sicuramente la giostra provoca il mal di mare a tutti, anche ai comprimari alternativamente delusi e soddisfatti che ora lo aspettano alla festa che il Giornale ha organizzato a Sanremo e ha chiamato Controcorrente. Subito è stata ribattezzata, non certo da me ma dentro il Pdl, Contocorrente.


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