Relazioni industriali, la strada che si apre

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È vero che la mossa dell’azienda torinese dipende strettamente dalla recente sentenza della Corte costituzionale (che lasciava poco spazio alla fantasia) ma comunque il dado è stato tratto e parte da oggi la ricerca di un nuovo equilibrio.
Una volta le relazioni industriali italiane erano torinocentriche, pur in presenza di scuole sindacali diverse tra loro (i lombardi erano pragmatici rispetto ai piemontesi e i chimici non volevano essere accomunati ai metalmeccanici), ciò che accadeva a Mirafiori alla fine faceva testo. Oggi non è più così, la contrattazione aziendale che sta fiorendo, pure in periodo di vacche magre, è per sua natura policentrica. Molte innovazioni, vedi il welfare aziendale, vengono addirittura dal Nordest, terra tradizionalmente poco fertile per il sindacalismo confederale. Lentamente in fabbrica si va affermando un’idea di collaborazione e la Grande crisi non ha allontanato imprenditori e operai, anzi li ha avvicinati. Il documento comune per la crescita che ieri Confindustria e Cgil-Cisl-Uil hanno reso noto ne è la dimostrazione. Rimane però il macigno delle relazioni industriali anomale in Fiat dove la battaglia sindacale, pur vinta da Cisl e Uil con il voto determinante dei lavoratori, ha lasciato conflitti aperti e nodi irrisolti.
Per questo motivo è giusto, nel momento in cui si accetta la sentenza della Consulta — comportamento in Italia, come sappiamo, non scontato — fissare un obiettivo di sistema, un traguardo comune. Quest’obiettivo si chiama legge sulla rappresentanza e la Fiat lo fa proprio chiedendolo a gran voce. Di una nuova normativa c’è bisogno per evitare se non altro il riprodursi di asimmetrie. Prendiamo, ad esempio, la situazione che si apre proprio negli stabilimenti del gruppo torinese e che presenta un aspetto paradossale. I sindacati che hanno coraggiosamente sottoscritto l’accordo con Sergio Marchionne hanno anche preso impegni e accettato sanzioni. La Fiom ritorna in fabbrica e invece ha le mani libere non avendo firmato niente. È chiaro che questa asimmetria sul breve può essere accettata e gestita, nel medio termine però è difficile che possa tenere.
Non bisogna dimenticare poi che l’idea di arrivare a una legge sulla rappresentanza è stata fatta propria sia dalla Confindustria sia dai sindacati confederali che hanno sottoscritto lo scorso 31 maggio un dettagliato protocollo di intesa. A questo punto ci sono tutte le condizioni perché il governo raccolga il meglio dei vari disegni di legge giacenti in Parlamento e che in molti punti ricalcano le linee guida dell’accordo tra le parti sociali. L’esecutivo potrebbe operarne una sintesi e portarla all’esame delle Camere per una rapida approvazione. In questo modo non si produrrebbe solo un’importante innovazione legislativa ma si darebbe alla Cgil l’opportunità di arrivare a un chiarimento definitivo con la Fiom. La legge, infatti, non deve servire solo a fotografare la forza della rappresentanza in azienda, deve sancire anche una crescita di responsabilità. Il voto dei lavoratori, laddove sia necessario, non può più essere considerato accessorio e di conseguenza un accordo verificato dal consenso della maggioranza dovrà essere impegnativo per tutti. Ci sarà così sempre meno spazio per i cavalieri solitari del conflitto.
Proprio per questo, perché ci sono le condizioni per dar vita a un processo di crescita e responsabilizzazione, la Fiat avrebbe fatto bene a chiudere in maniera differente il suo comunicato. Legare la continuità dell’impegno industriale del gruppo in Italia all’approvazione di una legge, che Confindustria e sindacati hanno già richiesto da tempo, suona stonato. Anche nel giorno in cui accetta la sovranità della Consulta il Lingotto continua a dare l’impressione di cercare l’alibi per disimpegnarsi dall’Italia e per di più nel momento in cui si intravede l’uscita dalla recessione. Ma mai come in questo momento gli errori di comunicazione rischiano di pesare negativamente, il Paese ha bisogno di credere in se stesso e il gruppo dirigente della Fiat non può non esserne consapevole.


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