Giro di vite sul pubblico impiego contratti congelati e meno straordinari così si risparmiano 1,5 miliardi

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ROMA — Contratti fermi, blocchi del turn over, tagli agli straordinari e – una volta andati in pensione – raddoppio dei tempi previsti per incassare la liquidazione: gli statali mettono sul piatto della legge di Stabilità un miliardo e mezzo. Per i dipendenti pubblici è un ennesimo tributo che va ad aggiungersi a quanto già versato negli anni scorsi: in certi casi la “stretta” è stata rinnovata, in altri amplificata; comunque sia la categoria considera
gli interventi appena varati «inaccettabili» e il sindacato ha già annunciato di essere pronto alla mobilitazione.
Il rospo più difficile da mandare giù è quello relativo al blocco dei contratti, che – per quanto riguarda la parte retributiva – resteranno fermi per tutto il 2014 sia a livello nazionale che a livello di integrativo. I dipendenti del settore pubblico hanno siglato l’ultima trattativa nel 2009 e da allora i loro stipendi sono al palo: negli ultimi tre anni, lo stop ha provocato in media una perdita secca di 600 euro a testa, cifra “potenziata” dal crollo del potere d’acquisto subìto dalle famiglie negli anni della crisi. Ora arrivano altri dodici mesi di immobilità, non solo: dal 2015 al 2017, quando le trattative potranno essere riaperte, la cifra massima d’indennità di vacanza contrattuale prevista sarà pari «a quella in godimento al 31 dicembre 2013». Anche i compensi riconosciuti per il mancato rinnovo dei contratti resteranno quindi congelati.
Un altro colpo inferto alle buste paga arriva dalla stretta sulle ore di straordinario: la legge di Stabilità prevede che le spese per il loro compenso debba essere ridotta del 10 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2013; per Polizia, forze armate e Vigili del fuoco il taglio sarà invece del 5 per cento. Per chi va in pensione poi, saranno raddoppiati i tempi di attesa per avere diritto alla liquidazione: per i compensi che superano i 50 mila euro ora il Tfr viene versato al dipendente dopo sei mesi, dal 2014 si dovrà aspettare un anno.
Oltre al blocco dei contratti (che potranno essere rivisti solo nella parte normativa), il governo ha riconfermato e diluito nel tempo anche il blocco del turn over già in vigore. Nel 2014 il settore pubblico potrà assumere solo il 20 per cento dei dipendenti che manderà in pensione, nel 2015 la quota passerà al 40 per cento, nel 2016 al 60, nel 2017 all’80 per cento. Il blocco non è applicato a Polizia, forze armate, Vigili del fuoco, ma le altre amministrazioni pubbliche potranno lasciarsi alle spalle il parziale fermo alle assunzioni solo nel 2018. Il Consiglio dei ministri ha invece bocciato la norma, prevista nella bozza in entrata, che prevedeva il versamento di un contributo di 5-10 euro per poter partecipare ad un concorso pubblico, mentre dovrebbe essere estesa alle società controllate, partecipate e ai cda il tetto massimo alle retribuzioni fissato a 300 mila euro.
Interventi che, soprattutto per quanto riguarda contratti e turn over, il sindacato considera «inaccettabili». «Il settore ha già dato», commenta Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Rossana Dettori, segretario generale Fp-Cgil, precisa che «il fermo dei contratti, negli ultimi tre anni, è costato ai dipendenti 7 miliardi, cui rischiano di aggiungersi altri sette se fino al 2017 non sarà corrisposto altro che la vacanza contrattuale. Il lavoro pubblico non
è un bancomat». Quanto al blocco del turn over, «negli ultimi dieci anni la Funzione pubblica ha già perso 300 mila posti di lavoro e fine anno scadranno i contratti di 126 mila precari: i servizi offerti sono a rischio». «Già oggi – fa notare Dettori – anche in settori sensibili come la scuola e la sanità quelle ore di straordinario che il governo vuole tagliare servono spesso a garantire la copertura dei turni. Risponderemo punto per punto, se necessario con la mobilitazione».


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