Distinguo a catena che solo l’Europa può mettere a tacere

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Le pressioni della sinistra per arrivare a un voto palese della commissione sulla decadenza da senatore dell’ex premier sono viste dal centrodestra come una forzatura dei regolamenti. Non cambierebbero un esito piuttosto scontato, ma forse ricompatterebbero un Pdl nel quale a due settimane dalla fiducia al governo non c’è traccia né di gruppi autonomi né di scissione. Eppure la tensione interna rimane palpabile. Lo dimostra la reazione dell’ala governativa d fronte all’accusa di “tradimento” scagliata contro il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello.
«Non è più possibile tollerare la critica distruttiva e permanente» di alcuni settori del Pdl «alla legge di Stabilità e all’operato del governo di cui cinque nostri ministri fanno parte, e al quale abbiamo riconfermato la fiducia meno di tre settimane fa su indicazione dello stesso presidente Berlusconi», hanno scritto in una nota congiunta ventiquattro senatori del centrodestra. Si tratta di una presa di distanza dagli elementi più antigovernativi che fa pensare alla possibilità di una maggioranza politica diversa, nel momento in cui si andasse al 2014 e verso il semestre di presidenza italiana in Europa. Ma in questi giorni la tendenza appare più quella a rimettere insieme in qualche modo i frammenti dei due schieramenti del passato, che a assecondarne l’evoluzione.
La polemica fra Pdl e Pd sulla legge Severino, è esemplare. I berlusconiani continuano a sostenere che va interpretata in modo da impedire la decadenza del loro leader; il Pd che dev’essere semplicemente applicata. È un rimbalzo bipolare che in questa fase accomuna le parole d’ordine del vicepremier Angelino Alfano a quelle del candidato numero uno alla segreteria del Pd, Matteo Renzi. E fa pensare a un’offensiva concentrica infinita contro palazzo Chigi di qui a fine anno. La confusione non nasconde del tutto i calcoli di elezioni anticipate che qualcuno continua a fare; e che l’elezione di Renzi probabilmente renderebbe più rapidi. Colpisce, sotto questo aspetto, la comunanza di giudizi negativi, a destra e a sinistra, sul ruolo dell’Unione europea e sui vincoli finanziari dell’Italia.
Pdl, Lega ma anche il sindaco di Firenze bollano il rapporto deficit-Pil al 3 per cento come «parametro anacronistico». Il capo del Carroccio, Roberto Maroni, teorizza che superare quel “tetto” sarebbe addirittura “legittima difesa” contro un’Europa matrigna. Insomma, si comincia a capire che la campagna per le europee di primavera potrebbe assumere toni critici contro le istituzioni di Bruxelles sia per la loro oggettiva impopolarità, sia per attrarre voti. Renzi lo dice: punta a calamitare quelli del centrodestra e del movimento 5 stelle di Beppe Grillo. L’attacco alla “faticosa eccezione” delle larghe intese serve a questo, oltre che a mobilitare quanti, nei due fronti, non smettono di puntare alla fine della legislatura. Per un presidente del Consiglio come Letta e un capo dello Stato come Giorgio Napolitano, che fanno del rispetto dei vincoli europei la premessa dell’affidabilità italiana, sono segnali inquietanti.
Anche perché al premier non sarà facile dire quei “no” alle richieste degli alleati, che gli permetterebbero di prendere decisioni più incisive. Lo sciopero già proclamato dai sindacati contro la legge di stabilità cerca di anticipare e coprire un malessere sociale diffuso. E l’inconciliabilità fra le resistenze del Pd ai tagli di spesa e del Pdl all’aumento delle tasse concedono spazi di manovra vicini allo zero. Per questo, non è da escludersi che a novembre, al momento della stretta, saranno proprio i richiami dell’Europa al rispetto degli impegni a supplire alle contraddizioni della coalizione governativa italiana e alle sue tentazioni elettorali. La nuova cancelliera tedesca Angela Merkel ieri ha spedito l’avviso a Bruxelles. Vuole maggiori controlli della Commissione sui singoli Stati, in nome di quel rigore che si può anche mettere in mora. Ma a caro prezzo.


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