?E Alfano va a cena a Palazzo Grazioli «Far cadere tutto non serve a nulla»

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Perché dal 2 ottobre – quando Alfano, i ministri e la loro pattuglia hanno voltato le spalle a Berlusconi sul voto di fiducia a Letta – il Cavaliere e il suo ex delfino si sono sempre trovati su posizioni diverse, e forse inconciliabili.
Ieri sera, a cena a palazzo Grazioli, le opposte ragioni dell’uno e dell’altro sono state messe sul tavolo senza mezze parole. Da una parte Berlusconi, che negli ultimi giorni è tornato il più falco dei falchi, sempre più infuriato da quel voto sulla decadenza che si avvicina e che gli appare come una mannaia intollerabile. Un Berlusconi che ha voluto riprendersi il partito ma che ha trovato la fiera resistenza dei governativi, molti dei quali per lui altro non sono che «traditori, che pensano solo alle poltrone». Un Berlusconi che — dopo contatti secondo alcuni perfino con Becchi, fedelissimo di Grillo — al momento non vede altre strade che la rottura con un governo di larghe intese dal quale pensa di aver ottenuto solo umiliazioni e nessun tipo di aiuto sulla sua vicenda giudiziaria.
Sull’altra sponda c’è Alfano, il fu erede, il preferito del Cavaliere che gli ha assestato il colpo più duro sulla fiducia, facendo prevalere le ragioni della stabilità del governo alla fedeltà cieca al capo. Quell’Alfano che finora non ha voluto rompere, non ha voluto formare un gruppo autonomo come gli suggerivano molti fra i suoi compagni di viaggio — Cicchitto, Formigoni, Giovanardi —, ma che ora potrebbe essere costretto a farlo.
L’oggetto del confronto infatti è ormai chiaro. Berlusconi, in vista di quel colpo al governo che vorrebbe assestare per tornare al voto e anche per proteggersi dall’«assalto giudiziario» che lo tormenta, vorrebbe il suo partito unito, e obbediente alle sue richieste. Per questo ad Alfano offre un rientro nei ranghi e anche un ruolo nella nuova Forza Italia, magari la vice presidenza in un gruppo dirigente del quale farebbero parte tutte le anime del partito. Non di più però, non la guida politica della sua creatura, che resterebbe saldamente nelle sue mani: «Il partito è l’unica cosa che mi resterà, tra pochi giorni». Ma l’ex premier pretende fedeltà sulla linea dura che ha scelto di portare avanti. Che poi voglia dire sicura apertura della crisi dopo il voto sulla decadenza è impossibile da dire, visto quante volte ha cambiato idea.
Ma per Alfano l’ultimo punto è quello cruciale. Nella riunione con i ministri che ha tenuto subito dopo il consiglio, l’ex segretario ha detto chiaramente ai suoi che si può anche rimanere nel partito – senza conte dilanianti e senza troppe pretese sulle cariche – pur di mantenere l’unità del Pdl e portarlo gradualmente verso posizioni più moderate. Ma questo a patto che sia assicurata la fiducia al governo, che non si rompa sulla decadenza visto che «presidente, non ti servirebbe a niente, saresti ancora più perseguitato. E comunque, noi il 2 ottobre abbiamo detto come la pensavamo: non abbiamo cambiato idea».
Se le posizioni nelle prossime ore resteranno queste, anche al termine degli incontri che Berlusconi terrà oggi – prima con il resto della compagine ministeriale, poi con Raffaele Fitto -, difficile immaginare che si arrivi al Consiglio nazionale senza strappi da una parte e dall’altra. Perché per un Formigoni che già annuncia un documento degli Innovatori «che avrà la maggioranza al Cn» e che appoggia il governo, c’è un Fitto che lancia l’ultimatum ad Alfano: o sta con Berlusconi senza se e senza ma sulla linea del dettato dell’ufficio di Presidenza, o se ne deve andare.
E potrebbe alla fine essere proprio questa la linea che prevarrà: una separazione più o meno (molto meno che più) consensuale. Che potrebbe portare a una spaccatura con esiti definitivi sul voto di decadenza, con Fi che passa all’opposizione e gli Innovatori che restano in maggioranza. Esiti drammatici, che fino all’ultimo Berlusconi cercherà si scongiurare, pur sapendo che forse sarà impossibile, che «contro i traditori» c’è poco da combattere .
Paola Di Caro


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