BANCHE, LA SFIDA DELLA GOVERNANCE

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Come in altre circostanze, anche in questo caso la distanza che separa la Bce dai parlamenti nazionali le consente quella libertà di azione e di intervento sulle banche che difetta alle autorità nazionali, soggette a pressioni politiche e alla forza contrattuale delle grandi banche nazionali. Sarebbe saggio che il governo anticipasse tutto questo e intervenisse già da ora per consegnare alla supervisione della Bce istituzioni che, sotto il profilo patrimoniale e di governance, siano le più solide possibile. Anche perché, su questo la lettera di Draghi è molto esplicita, l’Unione Bancaria europea non è sinonimo di bail-out (o bail-in) europeo: le risorse per eventuali salvataggi bancari proverranno unicamente dai governi nazionali delle banche coinvolte. Quella lettera ha un’implicazione importante per l’azione del nostro esecutivo: metta i nostri istituti di credito nelle condizioni migliori per rafforzare i loro bilanci, i loro patrimoni e la struttura di governo, alleggerendoli, riguardo a quest’ultimo punto, dalla presenza invadente e ostativa delle Fondazioni. Può farlo esercitando finalmente il ruolo di regolatore delle fondazioni che spetta per legge al ministero dell’Economia. Sebbene sia vero che le Fondazioni abbiano fornito capitale alle banche di riferimento durante questa crisi, lo hanno fatto principalmente per evitare di essere diluite dall’ingresso di azionisti estranei e hanno utilizzato ogni mezzo per ostacolare l’arrivo di nuovi capitali. Piuttosto che agenti di consolidamento della posizione patrimoniale delle banche, sono sempre più fattori ostativi all’ingresso di nuovi fondi.
Su questi punti il Governo non deve fare un grande sforzo per individuare l’agenda da seguire. Basta attenersi alle linee di intervento specificate nella recentissima valutazione del Fondo Monetario Internazionale sulla stabilità finanziaria in Italia, rapporto gravemente ignorato dalla stampa italiana. Il Fondo suggerisce di agire su tre linee. Primo, adottare misure per facilitare lo “smaltimento” delle posizioni in sofferenza nei bilanci delle banche (hanno raggiunto il 14% degli attivi), incoraggiando queste a effettuare adeguati accantonamenti, facendo ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, e adeguando gli incentivi fiscali sulle perdite agli standard europei (misura questa in parte presente nella Legge di Stabilità). In secondo luogo, ove è necessario promuovere il rafforzamento della posizione patrimoniale delle banche, anche per accrescerne la capacità di erogare prestiti e sostenere la ripresa. Interventi in queste due direzioni preparerebbero le banche ad affrontare il previsto stress test della Bce. Ovviamente, il rafforzamento patrimoniale si basa su due presupposti: 1) che gli azionisti di controllo siano disposti a sottoscrivere nuovo capitale o, se non hanno il muscolo finanziario per farlo, che non ostacolino l’ingresso di nuovi sottoscrittori; 2) che si sia disposti ad accettare gli investitori per i soldi che portano, indipendentemente dalla casacca che indossano, vale a dire si deve applicare il detto pecunia non olet. Questo secondo punto, vista la carenza di capitali dei correnti azionisti (in particolare le fondazioni), è cruciale. Purtroppo le recenti posizioni assunte dal governo sul caso Telecom e sulla vicenda Alitalia non lasciano ben sperare. Terzo e non indipendente dal punto precedente occorre migliorare la governance delle banche e la loro struttura proprietaria. È da tempo che sosteniamo che un sistema bancario solido deve essere al riparo da interferenze politiche. Il presupposto perché ciò accada è che si adottino strutture di controllo che non siano canali nascosti di penetrazione politica, come sono le fondazioni. Nelle due principali banche italiane – Intesa e Unicredit – le fondazioni detengono, congiuntamente, il 9% e il 25% del valore azionario, ma esprimono oltre l’80% del consiglio, di fatto esercitando pieno controllo ed esponendo le due principali banche del paese ad interferenza politica. Questo ora lo sostiene anche il Fondo Monetario Internazionale quando, nel rapporto, sottolinea come “le Fondazioni sono soggette a forte influenza politica. Le Fondazioni sono fortemente influenzate dagli stakeholders che esse servono … e di conseguenza sono fortemente influenzate da interessi locali e cicli politici” (p. 82). Questi problemi, documenta il Fondo, sono già riflessi nella performance delle banche. Gli stress test effettuati da Fondo mostrano che “le banche influenzate dalle fondazioni sono uno degli anelli più deboli del settore bancario italiano (p. 83)”. Saggezza vorrebbe che queste analisi vengano prese sul serio. Magari ispirandosi a quanto si sta facendo in Spagna dove nella ristrutturazione delle Cajas, il governo spagnolo prevede la creazione di fondazioni che siano detentrici di subordinati bancari anziché di azioni. Da noi basterebbe più semplicemente trasformare le azioni delle fondazioni nelle banche di riferimento in azioni di risparmio.


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