Letta si fida del vicepremier: i numeri per andare avanti ci sono

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ROMA — «Il voto della giunta su Berlusconi? Per me non cambia nulla».
La risposta di Enrico Letta è no. Il premier non può e non vuole intervenire sulla legge Severino per frenare la corsa verso la decadenza del Cavaliere dal Senato, per lui l’unico argine alle minacce è la fiducia espressa dal Parlamento con il voto del 2 ottobre: «Berlusconi non ha i numeri per far cadere il governo, mentre noi li abbiamo per farlo andare avanti…».
L’asse con Angelino Alfano ancora non si spezza, il presidente del Consiglio ha parlato a lungo a Palazzo Chigi con il suo vice, tra un incontro e l’altro per blindare la legge di Stabilità. Letta crede in lui, è convinto che il ministro dell’Interno, davanti a un bivio, sceglierà la tenuta delle larghe intese e il futuro del Paese. I rapporti non sono cambiati. Letta sa bene che con l’avvicinarsi del voto in Aula la tensione è destinata a salire ancora, ma senza conseguenze irreparabili.
«Si cominciano a vedere i primi segnali di ripresa e sarebbe una follia vanificare i sacrifici degli italiani» è il messaggio che il premier ha ripetuto come un mantra in una giornata campale. Una giornata in cui ha cercato di mantenere i nervi saldi davanti ai falchi, che promettono «conseguenze» dopo la decisione di votare alla luce del sole e non a scrutinio segreto. I berlusconiani che preparano la «guerriglia» in Parlamento e il lugubre monito di Fitto — «Il Pd sta segando l’albero su cui Letta è seduto» — non gli hanno fatto cambiare idea. Per il premier «la risposta a Berlusconi è contenuta nel voto di fiducia del 2 ottobre», che ha segnato i confini di una maggioranza politica diversa (e più coesa) di quella numerica.
«La decisione della giunta riguarda l’interna corporis del Senato, il governo non c’entra nulla — ragiona Letta —. Per me siamo fermi a quella data. Il passaggio è stato chiarissimo, chi ha votato la fiducia si è impegnato a tenere separato il piano dell’esecutivo da quello delle vicende giudiziarie di Berlusconi». Intervistato a Radio Anch’io, ieri mattina, il premier ha ricordato come il Parlamento lo abbia sostenuto «con largo consenso», su un discorso che aveva come «pilastro» il bisogno dell’Italia di avere un governo e la separazione tra esecutivo e decadenza: «Era la base sulla quale il Parlamento, a larga maggioranza, ha dato la fiducia al governo». E dunque, se l’ex premier gli ha chiesto di intervenire sulla legge Severino per renderla non retroattiva, Letta non muoverà un dito, anche se dovesse costargli la permanenza a Palazzo Chigi.
Lui resta convinto che il peggio non accadrà e che le larghe intese passeranno attraverso la cruna dell’ago del voto in Aula sulla decadenza di Berlusconi. Anche per questo ha continuato imperterrito a lavorare sulla legge di Stabilità, limando e mediando con la delegazione del Pdl e con quella di Scelta civica. Incontri di merito, che però lo confortano sulla tenuta dell’esecutivo. «Che la delegazione del Pdl sia venuta a parlare di Finanziaria è un buon segnale» secondo Palazzo Chigi, dove fanno notare come al colloquio fosse presente il viceministro all’Economia, Luigi Casero.
C’è chi teme che il vero rischio arrivi da un Matteo Renzi che vorrebbe votare tra febbraio e marzo, ma Letta si fida degli impegni che il sindaco di Firenze ha assunto, in privato e pubblicamente. E se dovesse azzardare un pronostico, direbbe che «si andrà a votare nella primavera del 2015». Il problema semmai è la legge elettorale. «La pazienza degli italiani è finita» dice Letta riecheggiando Napolitano. Rilancia l’appello del capo dello Stato e suggerisce al Parlamento di rinunciare a una «mega riforma» della legge elettorale, che rischia di rinviare tutto alle calende greche: «Il porcellum è il male assoluto, meglio pensare a dei ritocchi che consentano di evitarlo».
Monica Guerzoni


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