La tregua è già rotta E Renzi si comporta da premier ombra

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La probabile uscita di Forza Italia nella nuova versione di Silvio Berlusconi comporterà un riequilibrio. La coalizione «più piccola ma più coesa» della quale ha parlato ieri Pier Ferdinando Casini avrà un partito preponderante: il Pd. E sarà un Pd, che l’8 dicembre cambierà segretario, quasi certamente Matteo Renzi al posto di Guglielmo Epifani; e assumerà un atteggiamento più esigente nei confronti di palazzo Chigi. In questa prospettiva, non è da escludere che possano essere cambiati un paio di ministri; e che il rimpasto consenta di risolvere con contraccolpi meno rischiosi il caso della Guardasigilli Annamaria Cancellieri.
È difficile, infatti, che un Pd a guida renziana rinunci alla richiesta di dimissioni del ministro della Giustizia, avanzata nei giorni scorsi. Il sindaco di Firenze assicura che non pretenderà «poltrone»: si limiterà a «fare alcune proposte». Ma è intenzionato ad archiviare «il vecchio Pd che ha salvato la Cancellieri» e a rivedere l’agenda seguita finora da palazzo Chigi. Anzi, in qualche modo ha già cominciato o meglio continuato ieri, avvertendo il presidente del Consiglio che «non è il momento giusto per le privatizzazioni: per motivi di mercato e non solo». I suoi esegeti sostengono che è sbagliato svendere le partecipazioni pubbliche per fare cassa»: un altolà che Letta ufficialmente ignora, iscrivendolo nella guerriglia quotidiana ingaggiata da Renzi contro il governo.
L’attacco, però, lascia capire quali saranno i rapporti fra il Pd e il «suo» premier dall’8 dicembre. Il «no» alle privatizzazioni subito dopo l’annuncio che verranno fatte, è solo la continuazione dei distinguo su un altro tema dopo il caso Cancellieri; e la conferma che non c’è tregua. E questo mentre il Consiglio dei ministri si prolunga in modo imprevisto perché stamattina Fabrizio Saccomanni, titolare dell’Economia, deve presentare all’eurogruppo i conti pubblici italiani. E dovrà «battagliare» per convincere gli interlocutori, ammette Enrico Letta. Anche per questo il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, osserva quanto accade con preoccupazione.
Il presidente della Repubblica sta attraversando «un periodo che comporta anche amarezze», ha ammesso ieri a Roma, mentre gli veniva consegnata una medaglia della Pontificia Università Lateranense. E non ha nascosto che «il cammino del Paese è tutt’altro che facile e va percorso con la massima coerenza: con fermezza e apertura, viste le incognite» che si profilano. Il messaggio è chiaro: non si deflette dalla strategia seguita finora, in raccordo con l’Unione e la Banca centrale europea. La «massima coerenza» impone un’attenzione ai conti pubblici, che ha molti nemici nelle forze politiche, soprattutto alla vigilia della campagna per le elezioni europee; ma è ineludibile. Renzi sostiene che «andrà d’accordo» con Letta su come governare l’Italia.
L’impressione è che voglia diventare una sorta di «premier ombra» deciso a piegare rapidamente la politica delle «larghe intese» verso i propri obiettivi, fino a svuotarla. E aspetta un mandato forte del congresso per potere alzare ancora di più la voce: con palazzo Chigi e, eventualmente, con lo stesso Quirinale. La coalizione che vede insieme Pd, «Nuovo centrodestra» del vicepremier Angelino Alfano e i due spezzoni di Scelta Civica e dei popolari di Casini, in teoria si sta consolidando avendo in prospettiva Berlusconi all’opposizione. Ma se anche il partito di Renzi comincerà a martellare Letta ed i suoi alleati come se fosse con un piede fuori dalla maggioranza, l’instabilità crescerà. Resterebbe solo da individuare il punto-limite oltre il quale il «premier-ombra» punterebbe a farlo in prima persona.


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