La festa, poi arriva l’affondo Avviso alla dirigenza «finita»

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 I sondaggi degli ultimi giorni l’avevano preoccupato: «Davano i votanti sotto i due milioni e la mia percentuale sotto il 60 per cento. Invece siamo sopra, in entrambi i casi. Ora non possono fare come se non fosse successo nulla». È un Renzi all’attacco, quello della prima notte da segretario: «I cittadini hanno parlato chiaro. Chiedono cambiamento. Ci hanno messo fretta. Da stasera sarà tutto più difficile, per chi pensa di guadagnare tempo, di passare mesi a cincischiare. Non lo permetteremo. E ora mi lasci finire di scrivere il discorso…».
La giornata del trionfo era cominciata con un grido dissacrante: «Renzi buho!» urla un pensionato da una finestra di piazza dei Ciompi. Lui si gira un po’ seccato, d’istinto cerca di individuarlo, poi scoppia a ridere: «È un tipico saluto fiorentino, un segno di affetto…». Sono le 10 del mattino, Matteo Renzi ha depistato i giornalisti dicendo anche al suo staff che sarebbe andato a votare nel tardo pomeriggio, invece è già qui, nella sede provinciale dell’Arci. Una mattinata da sindaco, più che da candidato alla segreteria del Pd: si ferma a parlare con una signora che lamenta il degrado del centro storico, dà appuntamento per il 16 dicembre a un gruppo di studenti dell’Isia, Istituto superiore industrie artistiche, che rischia di chiudere, si schermisce a chi gli fa gli auguri per la sfida: «Oggi la vera sfida è Roma-Fiorentina. Scusate, ora vado a casa a guardarmela». 2 a 1 per la Roma. Prima però Renzi è passato a vedere i pulcini della Settignanese, dove gioca — da centravanti — il primogenito Francesco, che a differenza dei viola ieri ha vinto. E anche al padre non è andata male.
Già alle 6 del pomeriggio, quando arriva in piazza del Duomo ad accendere l’albero, fendendo una folla di figuranti vestiti da armigero o da babbo Natale, Renzi sa che voteranno più di due milioni di persone, e che il suo risultato dovrebbe superare il 60 per cento. Il sindaco fa retrocedere le telecamere — «questa è una festa della nostra città, i giornalisti vadano dietro e facciano passare i bambini» — invita i padri a tenere d’occhio i piccoli — «ognuno si riprenda il su’ figliolo» —, annuncia che da aprile le Cascine saranno illuminate pure di notte, grida a pieni polmoni «viva Fiorenza!» insieme con la folla, poi dribbla i cronisti e sale a palazzo Ruspoli, nella sede del comitato, a salutare i volontari. Sulla soglia trova la carrozzina con un bambino di nove mesi, biondo con gli occhi azzurri: si chiama Gherardo Lotti, è il figlio di Luca, 32 anni, il futuro coordinatore del Pd. Ci sono la sorella maggiore, Matilde Renzi, Dario Nardella, il «ministro della cultura» del gruppo, Marco Agnoletti, l’uomo della comunicazione, il giuslavorista Guido Ferradini che ha lavorato al «Job Act», la proposta che Renzi illustrerà oggi nel suo primo giorno di segretario, incentrata sul sussidio di due anni per i senzalavoro che seguiranno corsi di formazione. Negli angoli opposti della stanza, le primedonne: la portavoce bionda Maria Elena Boschi e la portavoce bruna Simona Bonafé, ognuna circondata dai rispettivi, numerosi simpatizzanti. Arrivano i popolarissimi fratelli Guidi, gli uomini del catering, a rifocillare i militanti che stanno raccogliendo i voti regione per regione. Renzi scappa via, a Palazzo Vecchio, prima di raggiungere l’Obihall, il teatro tenda dov’è allestito il palco per la serata elettorale, la stessa della sconfitta con Bersani.
Nella stanza da sindaco, quella con la foto di Nelson Mandela («è sempre stata qui, non l’ho certo tirata fuori adesso»), Renzi fa il punto con i collaboratori sulla prova che lo attende. Il segnale degli elettori è chiaro: la base del Pd non si riconosce appieno nel governo Letta, e soprattutto non sopporta più lo stallo in cui appare bloccato il Paese, e che la sentenza della Corte costituzionale ha ulteriormente ingarbugliato. Votare prima del semestre europeo sarà difficilissimo: nessuno sembra aver voglia di accelerare l’arrivo del neosegretario Pd a Palazzo Chigi varando in tempi brevi una legge elettorale maggioritaria. «Vorrà dire che non potranno accusarmi, ogni volta che incalzerò Letta, di volerlo far cadere per prendergli il posto — è il ragionamento di Renzi —. Perché io in ogni caso incalzerò il governo, sulle cose concrete: norme più semplici per il lavoro, più investimenti sulla scuola, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, taglio delle indennità dei parlamentari». Anche sulla legge elettorale Renzi terrà una linea dura verso il governo, annunciando di voler trattare con tutti, «compresi Grillo e Berlusconi»; in realtà sa che dei Cinquestelle sarà difficile fidarsi, così come del Cavaliere, che in passato ruppe a un passo dall’accordo prima con D’Alema e poi con Veltroni, e oltretutto chiederebbe in cambio un salvacondotto per sé che il neosegretario non vuole e non può dare. Più che una tattica, il gioco a tutto campo annunciato da Renzi è un’arma per mettere pressione al governo; ma difficilmente potrà prescindere da un accordo con Letta anche su questo punto, a rischio di spaccare il partito.
Sotto il tendone sta per cominciare la festa. Renzi riceve le telefonate di Cuperlo e Civati, concorda che parlerà dopo di loro; «È stata una campagna leale». Negli ultimi giorni Cuperlo ha cominciato a picchiare duro, accostando il sindaco a Berlusconi; «ma tutto sommato mi avevano trattato peggio i bersaniani l’altra volta, quando ho perso». Ora arrivano le telefonate di congratulazione: Delrio, il suo uomo nel governo; il segretario uscente Epifani, con cui preparerà oggi il passaggio dei poteri e delle stanze; Oscar Farinetti, appena atterrato a Dubai. Yoram Gutgeld, il consigliere economico, lo attende sotto il palco, con un gruppo di bambini cui sono state distribuite bandieri tricolori. I primi dati sono quasi al 70 per cento. Poi comincia il discorso. Ed ecco le «botte» annunciate. «Abbiamo la peggiore classe dirigente della storia europea degli ultimi trent’anni». E ancora: «Stasera non è la fine della sinistra, ma di un gruppo dirigente della sinistra». E infine: «Ai teorici dell’inciucio è andata male! Due milioni e mezzo di italiani vi hanno detto: no grazie. Se qualche neocentrista dopo la sentenza della Consulta ha tirato fuori una bottiglia di spumante per brindare al ritorno del proporzionale, noi stasera quella bottiglia di spumante gliel’abbiamo fatta andare di traverso». Poi va via guidando la sua Volkswagen Sharan con la moglie Agnese accanto.
Aldo Cazzullo


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