L’amico-avvocato George «Con una frase lo salvai dalla mano del boia»

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JOHANNESBURG — «Ero alla porta quando l’ho sentito gridare: “George, non dimenticarti la giacca”. Il solito Nel. Ormai lontano con la testa, ma incredibilmente premuroso: era un giorno freddo, una settimana prima che lo portassero d’urgenza all’ospedale. L’ultima volta che l’ho visto».
George Bizos è uno degli amici più cari di Nelson Mandela. Forse per questo non è andato all’ospedale, non è andato a trovarlo quando è tornato a casa per morire, non ha ascoltato i suoi ultimi respiri. «È dura pensare che non c’è più». Mentre l’amico si spegneva attaccato a un respiratore, l’ottantacinquenne Bizos andava in ufficio a occuparsi di diritti umani. Parlare di Mandela in quei giorni gli ha fatto piacere: «Ci siamo conosciuti alla Wits University di Johannesburg nel 1948, al tempo delle proteste studentesche». Avvocato e amico: nel 1964 Bizos è lo stratega della difesa al processo di Rivonia che condanna all’ergastolo il leader antiapartheid. Con il suo famoso discorso dal banco degli imputati. «Nelson rischiò davvero l’impiccagione. Il suo finale suonava troppo come una sfida ai giudici. Diceva: “Sono pronto a morire”. La sera prima gli dissi: se vuoi realizzare i tuoi ideali forse farai meglio ad aggiungere: “se necessario”. In seguito gli altri avvocati dissero che quell’aggiunta fu provvidenziale. Quando uscì di prigione, ci abbiamo spesso scherzato sopra. Anche in pubblico. Nel 1993 andai con lui a Oslo per il Nobel. All’udienza dal re c’era anche l’altro vincitore, il presidente de Klerk. Mandela mi presentò: “Maestà, il mio avvocato. Non so perché non l’ho licenziato, visto che mi ha fatto passare 27 anni in galera”. Io dissi: “Maestà, penso che Mister de Klerk sia più responsabile di me”. De Klerk livido: “Ero all’asilo quando l’hanno condannato”. Poi sono andato a controllare: era all’università».
Bizos arrivò in Sudafrica a 9 anni con il padre Antoni dalla Grecia occupata dai nazisti. Aiutarono dei soldati neozelandesi a fuggire da Koroni, alla deriva nel Mediterraneo per tre giorni furono raccolti dalla marina britannica e sbarcarono qui. George e Nelson avvocati a Johannesburg negli Anni 50: «Lui era bravo a contro-interrogare i bianchi, specie le donne. Non erano abituate a parlare alla pari con un nero. Ricordo una denuncia per violenza sessuale. Nelson in aula: “Leggo dai verbali che lei signora asserisce che c’è stata penetrazione. Può confermare: c’è stata penetrazione?”. La donna andò nel pallone, negò, Mandela vinse. In ogni campo, l’ho sempre visto controllare la situazione. Sempre sicuro. A Robben Island Nelson conquistò il rispetto dei carcerieri. Come? Rispettandoli lui per primo. Un giorno andai a trovarlo, aveva intorno uno stuolo di agenti. Disse: “George, ti presento la mia guardia d’onore?”. Non li sfotteva, era serio. “Gli oppressori — diceva — non hanno dignità: io cerco di dargliene un po’”. E anch’io ci guadagnavo: alle prime visite mangiavo cibo pessimo al bar dei secondini. Poi passai al club degli ufficiali: aragosta».
SuperMandela, sempre in controllo? «Questo non significa che non abbia sofferto. Quando gli impedirono di andare ai funerali della madre e del secondogenito. Quando il primo figlio, malgrado i miei sforzi, non riuscì a diventare avvocato». Il lato personale di un uomo «sposato» alla causa, svelato dalle lettere alla moglie Winnie: «Ogni mattina pulisco la tua foto e mi sembra di accarezzarti. Con il naso tocco il tuo, come per risentire la scossa elettrica che mi attraversava quando potevo toccarti veramente». Bizos sospira: «Quando sposò Winnie, mi disse: “Sto sposando un mare di guai”». Fu George il tramite tra Mandela e la scrittrice Nadine Gordimer. Lei ricorda il giorno in cui Bizos disse che Nelson, uscito da poco di prigione, voleva vederla. «Pensavo volesse parlare di libri. Invece voleva confidarsi: mi raccontò che il primo giorno di libertà aveva scoperto che Winnie aveva un amante».
Per la famiglia del leader, l’amico-avvocato è sempre stato «zio George». Lo strappo poco tempo fa, quando The Old Man non era più «in controllo»: le figlie hanno fatto causa allo «zio», accusandolo di non voler lasciare la guida di un trust che gestisce parte del brand Nelson Mandela. «Faccio quello che mi ha chiesto lui. Anche se per qualcuno sono diventato l’infame George». Anche il governo dell’African National Congress non lo ama. «Il presidente Zuma quando mi vede dice: “Ah, ecco il nostro avvocato”». Semmai è il contrario. Bizos ha difeso le famiglie dei 44 minatori uccisi a sangue freddo dalla polizia nel 2012. Tra i padroni che hanno invocato la mano dura c’è Cyril Ramaphosa, ex pupillo di Mandela oggi numero 2 dell’Anc. «È una delusione. Ma sono cambiati loro. Io mi batto per i diritti umani come 50 anni fa, quando ho difeso un uomo che sarà difficile emulare».
Michele Farina


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