«Cieca e contagiosa L’ira è pura volontà di distruggere tutto»

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La «passione furente» è un tema caro al filosofo Remo Bodei, che tempo fa le ha dedicato un libro (pubblicato dal Mulino) dove individua le infinite manifestazioni di quella forza dirompente, le conseguenze, le strategie per canalizzarla o sublimarla. Che l’ira accenda gli animi dei manifestanti di questi giorni è fuori discussione, al netto delle infiltrazioni indebite e degli opportunismi. L’ira è una delle poche passioni in grado di mobilitare le folle, di cambiare la storia individuale e di dettare persino delle svolte nella storia tout court (rivoluzioni comprese). «L’ira va distinta dall’indignazione, — dice Bodei — perché mentre l’ira è di pancia e nasce dalla percezione di aver subito una violazione dei diritti o un’umiliazione, l’indignazione si lega a un senso di giustizia più razionale e più nobile».
I Forconi sono animati dall’ira? «Sì, infatti sul piano psicologico, l’ira si manifesta come eccitazione, abbandono di ogni freno inibitorio, volontà e voluttà di distruggere cose e di assalire persone, discorsi concitati e confusi». Un sentimento irrazionale che si avvicina all’odio e alla follia: «È interessante che questo movimento sia stato etichettato sotto il titolo di Forconi, che evoca un’aria un po’ arcaica, completamente fuori dal nostro tempo della globalizzazione e della finanza». Niente a che vedere con gli Indignados? «Mentre gli Indignados erano chiaramente nati dalla crisi finanziaria del 2008, quello dei Forconi è un fenomeno più vasto e generico che ha come obiettivo la cosa pubblica: motivazioni particolari e interessi diversi confluiscono nel comune scontento per un senso di ingiustizia subìta da troppo tempo. Così si spiega l’effetto contagio di un’ira indifferenziata della gente che soffre per la precarietà, per le eccessive distanze sociali, per la corruzione dilagante, per i privilegi di pochi».
A questa esigenza reale e comprensibile si aggiunge l’opportunismo di quelli che si infiltrano per rendere ancora più torbida la situazione: «Da qui nasce il pericolo di una degenerazione violenta». Si tratta di individuare i rimedi, ammesso e non concesso che non sia troppo tardi: «Il dubbio che sia tardi c’è. Ma la politica dovrebbe dosare bene anche le tecniche di comunicazione: non serve demonizzare in generale la violenza, bisogna ascoltare, dando subito un segnale di giustizia e di solidarietà».
L’ira è storicamente una passione bifronte: c’è chi la accetta considerandola giusta, c’è chi la respinge radicalmente. Succede anche oggi che le reazioni dell’opinione pubblica siano divaricate. «Il fatto è che non si può restare irati o indignati per lungo tempo: via via questi fenomeni si annacquano e si spengono visto che non hanno una voce comune (partiti o sindacati); oppure si organizzano rischiando di burocratizzarsi e rendendo dunque più debole la loro efficacia contundente». Da una parte l’idea diffusa di vedere corruzione, ingiustizia e incompetenza ovunque, dall’altro lato la demagogia politica della rottamazione o del fare «piazza pulita» di tutto: il doppio populismo diffuso contribuisce all’ira irrazionale collettiva: «C’è un’idea palingenetica di rinascita, come una forza mitica che però è carente di programmi seri. Puntare sulla gioventù, per esempio, come motore politico è in sé sbagliato se i giovani mancano di competenza e di capacità tecnica: l’opinione che i giovani siano migliori dei vecchi viene proposta come una sorta di toccasana magico, ma in realtà è la tecnica eterna del rinvio».
Paolo Di Stefano


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