Rifiuti hi-tech. Undici piramidi di spazzatura, così l’elettronica ci sommergerà

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Se li caricassimo su camion da 40 tonnellate, formerebbero una fila lunga tre quarti dell’equatore. È la fotografia al 2017 dei computer, palmari, televisori, frigoriferi e lavatrici che buttiamo nel corso di un anno. La definizione tecnica di questi materiali è “raee”, “rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche”, quella sostanziale è più difficile: per molti rappresentano un peso di cui liberarsi clandestinamente, spesso attraverso rotte che viaggiano da Nord a Sud seminando veleni; per altri costituiscono una risorsa preziosa perché recuperare i metalli preziosi e le terre rare contenuti nei beni gettati via può essere un buon affare.
Di sicuro questa nuova categoria di rifiuti costituisce una presenza sempre più ingombrante con cui bisogna fare i conti. I numeri contenuti nel rapporto Solving the E-Waste Problem (StEP) Initiative, un’iniziativa promossa dalle Nazioni Unite, rivelano una tendenza molto netta. Già oggi ognuno dei 7 miliardi di esseri umani che popolano il pianeta butta 7 chili di rifiuti elettrici ed elettronici all’anno, per un totale che sfiora i 49 milioni di tonnellate. Nei prossimi cinque anni ci sarà una crescita di un terzo, portando la cifra a 65,4 milioni di tonnellate: l’equivalente di 200 grattacieli come l’Empire State Building o di 11 Piramidi di Giza.
Il settore legato all’e-waste (i rifiuti elettronici) diventa così un termometro per misurare la crescita e la maturità delle varie economie. Nel 2012 la Cina si è collocata al primo posto nella classifica delle merci appartenenti a questa categoria con 11,1 milioni di tonnellate immesse sul mercato, seguita dagli Stati Uniti con 10 milioni di tonnellate. Ma la graduatoria si inverte quando si passa alla
quantità dei prodotti elettronici buttati via: gli Usa, essendo partiti prima, hanno maggiori volumi di scarto: 9,4 milioni di tonnellate contro i 7,3 della Cina. E anche sul piano dell’ewaste pro capite la distanza è notevole: 29,8 chili per ogni statunitense rispetto ai 5,4 chili per ogni cinese.
Ma dove finiscono questi flussi in continua crescita? «L’obiettivo dello studio è comprendere meglio le rotte illegali per sistemare il puzzle delle esportazioni dei rifiuti elettrici ed elettronici», risponde Jason Linnell, direttore del Centro nazionale per il riciclo degli apparecchi elettronici (Ncer). «A fronte di aumenti così vistosi si tratta di ottenere un quadro il più preciso possibile per impostare la migliore linea di risposta».
Anche perché al momento la quota di commercio clandestino resta molto alta. La ricerca mostra che gli apparecchi più grandi, soprattutto tv e monitor, dagli Stati Uniti vengono esportati verso destinazioni come Messico, Venezuela, Paraguay e Cina, mentre i pc usati, soprattutto portatili, hanno più probabilità di andare verso i paesi asiatici e africani. Nei villaggi dei paesi più poveri questo afflusso si traduce in un drammatico aumento delle malattie legate allo smaltimento, senza le più elementari norme di sicurezza, di beni solo apparentemente innocui.


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