Abu Omar condannato per terrorismo “Io, sacrificato per la grazia all’agente Cia”

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MILANO — A più di dieci anni dal rapimento che travolse i vertici del Sismi e ventisei uomini della Cia, l’ex imam della moschea di viale Jenner, Abu Omar, passa dal ruolo di vittima di quella extraordinary rendition a presunto terrorista. Ieri il gup di Milano Stefania Donadeo ha condannato l’islamico, rapito in via Conte a Milano, il 17 febbraio 2003, a sei anni per associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale. Sostanzialmente accolto, quindi, l’impianto accusatorio del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, che aveva chiesto otto mesi in più. «Dovevo essere l’unico terrorista nella vicenda — ha commentato ieri, da Alessandria d’Egitto, Abu Omar — È una condanna che serve solo a giustificare la grazia concessa all’agente della Cia», il colonnello Joseph L. Romano III, uno degli ufficiali americani condannati dalla corte d’Appello di Milano per il sequestro. Dopo il rapimento,
Abu Omar venne trasferito in Egitto, fedele alleato degli Stati Uniti nella “Guerra al terrore” dopo gli attentati dell’11 settembre, e sottoposto a un lungo periodo di torture.
Per quel blitz sono state già condannati 33 persone, tra cui 23 agenti della Cia con sentenza definitiva. Il 16 dicembre, invece, la Cassazione si pronuncerà sugli ex vertici del Sismi, Nicolò Pollari e Marco Mancini, condannati rispettivamente a 10 e 9 anni, in attesa che la Corte Costituzionale definisca l’ennesimo conflitto di attribuzione con al centro la questione del segreto di Stato, opposto da tutti i governi che si sono alternati negli anni.
Prim’ancora di quella operazione pianificata dalla Cia e avallata dai servizi segreti italiani, tra il 2000 e il 2003 i pm del pool antiterrorismo, Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, gli stessi che indagavano sulla rendition, tenevano sotto controllo l’imam. Abu Omar era considerato parte di una rete di terroristi internazionali insieme ad altri 13 stranieri, molti dei quali già condannati in via definitiva. Un’associazione finalizzata a «compiere atti di violenza con finalità di terrorismo in Italia e all’estero» e che faceva riferimento alla sigla Ansar al Islam, gruppo con un «programma criminoso condiviso con organizzazioni attive in Europa, nord Africa, Asia e Medio Oriente ». «Abu Omar si è sempre limitato ad aderire ad un percorso politico- ideologico per professare il proprio credo e la propria fede — ha commentato il legale dell’islamico, l’avvocato Carmelo Scambia — L’esito del processo era scontato, c’era da stabilire solo l’entità della pena. Ora vedremo le motivazioni e vedremo anche se ci saranno riferimenti al rapimento che ha subito».


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