Asse tra Pd, 5 Stelle e Sel: legge elettorale alla Camera

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ROMA — «Il fare presto» sulla legge elettorale impresso da Matteo Renzi produce già un primo risultato. In Senato, dove era incardinata da tempo la riforma del Porcellum, presso la commissione Affari costituzionali, una maggioranza diversa da quella delle larghe intese e composta da Pd, Sel e Movimento 5 Stelle (contrari Nuovo centrodestra, Scelta civica, FI, Gal, Lega Nord) impone uno stop all’esame del testo optando per il passaggio alla Camera, dove il partito di Renzi ha una base numerica molto più ampia e dove è stato a sua volta incardinato lo stesso progetto. Quella sulla legge elettorale non è la sola inedita alleanza che si è palesata ieri. Alla Camera in commissione Bilancio (discute della legge di stabilità) a sorpresa fanno asse Forza Italia e M5S. I forzisti votano — ed è la prima volta che accade — un emendamento proposto dai grillini. Non importa se poi viene bocciato, conta il segnale politico.
La questione elettorale è il tema di un incontro tra i presidenti di Senato e Camera, Piero Grasso e Laura Boldrini. L’esito del colloquio è che la riforma del Porcellum passerà, come richiesto, a Montecitorio mentre Palazzo Madama si occuperà di riforme costituzionali, in particolare del «superamento del bicameralismo paritario». La decisione non piace a Pier Ferdinando Casini che denuncia «lo scippo» temendo che «si stia preparando una fase di prepotenza che non promette nulla di buono». La posta in gioco non è la «sede» da cui fare partire l’esame della riforma, ma «chi» debba promuoverlo. E a questo fa riferimento il ministro Gaetano Quagliariello. «Non si deve eludere — rimarca — il nodo: il governo, se c’è e ha una maggioranza, deve mettersi d’accordo sulla legge elettorale nei prossimi dieci, quindici giorni, al massimo per la Befana. Oppure la maggioranza va in crisi e allora ognuno si prenderà le proprie responsabilità». Insomma, prima un’intesa nella maggioranza poi il negoziato con le opposizioni, e non il contrario. Lo schema proposto da Quagliariello fa riferimento al discorso con il quale il premier Enrico Letta ha chiesto la fiducia al suo governo. Letta infatti, parlando ai deputati mercoledì mattina, ha messo in evidenza che «nessuno, noi per primi, pensa a una legge elettorale punitiva nei confronti di altri. Il governo, la maggioranza innanzitutto, e il Parlamento tutto lavorino nelle prossime settimane per dare pratica attuazione» al pronunciamento della Consulta. Schema confermato dal ministro Dario Franceschini: «Ovviamente si parte da un’intesa tra le forze di maggioranza». Cosa apprezzata da Quagliariello tanto da scrivere su Twitter: «L’”ovviamente” di Franceschini chiude ogni polemica». Ma il ministro Graziano Delrio, assai vicino al neosegretario del Pd, rimette in discussione lo schema: «Credo sia sbagliato pensare che gli accordi si facciano dentro il perimetro della maggioranza». Tesi sostenuta da altri due renziani, Giachetti e Nardella. «Quelli del Nuovo centrodestra minacciano la crisi di governo ma non hanno capito che il verso è cambiato», ha scritto su Twitter il primo. «Quagliariello — ha puntualizzato il secondo — non è in condizione di dettare diktat al più importante partito italiano e al partito di stragrande maggioranza di governo». Considerazioni contro cui si era scagliato Fabrizio Cicchitto: «Niente ultimatum, ma si apra un confronto prima nella maggioranza poi con gli altri partiti».
Lorenzo Fuccaro


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