Ora Letta scommette sulla «fase due»: ministri, basta autogol

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ROMA — «Renzi? Aspettiamo le conclusioni della Direzione del Pd». L’incontro non è servito a superare le differenze. Eppure Enrico Letta è atterrato in Messico di buonumore, convinto che il sindaco dovrà arrendersi alla necessità di sostenere l’esecutivo fino al 2015. Abituato com’è a vedere il bicchiere mezzo pieno, il premier pensa che l’accordo sulla legge elettorale sia vicino e ritiene il voto anticipato sempre più una chimera per chi vorrebbe agguantarla.
«La pistola di Renzi di un patto con Berlusconi sul sistema spagnolo è caricata ad acqua — sorride un ministro — Con chi la fa la legge elettorale, con chi vuol tirare giù il governo? E come lo spiega, visto che ormai nella maggioranza siamo quasi tutti per il sistema dei sindaci?». Il nodo non è sciolto eppure il premier è fiducioso. Ha lasciato al segretario la palla delle trattative sul sistema di voto e nonostante questo sente di avere, ben salda nelle sue mani, la regia della «fase due». Il Renzi che continua a giocare da battitore libero non preoccupa più di tanto Palazzo Chigi, dove pensano che il rottamatore non abbia poi tutti questi margini di manovra. «Sono fiducioso — è l’umore di Letta — su Impegno 2014 chiudiamo nei tempi previsti». Due settimane al massimo, poi la firma del contratto che ufficializzerà il «cambio di passo» del governo. «Sul doppio turno possiamo chiudere in una settimana — fa pressing Quagliariello — È il modello che piace di più ai partiti e risponde alla litania renziana ascoltata per anni alla Leopolda».
Il passaggio successivo è il rinnovamento della squadra, come «ultimo step del percorso». Era per Letta un autentico tabù e non solo perché Renzi ha annotato il termine alla voce «retaggi della Prima Repubblica». Ma adesso il presidente guarda al maquillage come a un passaggio necessario per garantire durata e stabilità. Tanto che a Palazzo Chigi si è cominciato, con cautela e riservatezza, a ragionare di nomi. Lo conferma indirettamente Angelino Alfano, leader del Ncd: «A noi finora nessuno ha posto un problema di sedie o poltrone…». Alla convention di Bari, davanti a 3.000 persone, il vicepremier avverte: «Nei sondaggi siamo la quarta forza politica del Paese, decisiva perché il governo vada avanti e perché il centrodestra possa vincere in futuro». Dove il non detto è che, se Maurizio Lupi lascerà le Infrastrutture per guidare il partito, Ncd potrebbe chiedere di mantenere tutti e cinque i ministeri.
Sulla squadra è iniziato il gioco del cerino, Renzi non invoca né rimpasti né «bis» e aspetta che sia il premier a estrarre la carta dal mazzo. E Letta, a sua volta, attende che sia il segretario a fare la prima mossa. Ma il tempo stringe e quando tornerà dal Messico il premier dovrà decidersi. «Se si vuole il rimpasto — prova a stanarli Emanuele Macaluso — lo si dica con chiarezza». Intanto i nomi corrono. Quella di Giovannini è l’unica poltrona che Renzi sembra abbia chiesto per un nome di sua fiducia, vista la «distanza siderale» tra le idee del Jobs Act e le posizioni di Alfano. Saccomanni? Renzi lo stima e Letta, per quanto dispiaciuto dai «passi falsi» e dall’«impoliticità» del ministro, ha già detto che il responsabile Economia «non si tocca».
Venerdì in Cdm l’arbitro ha tirato fuori i cartellini gialli: «Basta autogol, divisioni e litigi tra di voi. Non possiamo più permetterci errori, come sugli insegnanti. Per me l’unità e il gioco di squadra sono fondamentali. Cerchiamo tutti di essere più sistematici e più attenti nel monitorare l’attuazione dei provvedimenti». Una lavata di capo senza precedenti e ne sa qualcosa Maria Chiara Carrozza, che non lo aveva mai visto tanto arrabbiato. Con la Lorenzin il premier ha un ottimo rapporto e così era con la De Girolamo, prima del caso Benevento che tanto imbarazzo ha suscitato a Palazzo Chigi.
Monica Guerzoni


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