Fabio Riva, anche «truffa allo Stato»

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È lì che dimora dal novem­bre 2012 Fabio Riva, figlio del patron dell’Ilva Emi­lio, e vice­pre­si­dente della Riva Fire, la hol­ding di fami­glia che intorno al mer­cato dell’acciaio ha costruito un impero. Sul quale indaga da tempo la pro­cura di Milano.

23soc1 fabio riva ilva 2Ieri il gip di Milano Fabri­zio D’Arcangelo ha emesso un’ordinanza di custo­dia cau­te­lare nei con­fronti di Fabio Riva per asso­cia­zione a delin­quere e truffa aggra­vata ai danni dello Stato, che ha por­tato a un man­dato d’arresto euro­peo e a una roga­to­ria inter­na­zio­nale per chie­derne l’estradizione. Oltre al vice­pre­si­dente di Riva Fire, altre quat­tro sono le per­sone desti­na­ta­rie dell’ordinanza: Ago­stino Alberti, diri­gente di Riva Fire, Alfredo Lomo­naco e Bar­bara Lomo­naco di Ilva Sa e Adriana Lam­sweerde di Eufin­trade, una finan­zia­ria elvetica.

Secondo le inda­gini, i diri­genti del gruppo, tra cui Fabio Riva, avreb­bero creato una società ad hoc con sede in Sviz­zera, l’Ilva Sa, per aggi­rare la nor­ma­tiva (legge Ossola) sull’erogazione di con­tri­buti pub­blici per le grandi aziende che espor­tano all’estero. La nor­ma­tiva pre­vede che le aziende, che hanno com­messe estere e però rice­vano i paga­menti dall’estero in moda­lità dila­zio­nata nel tempo, pos­sano otte­nere stan­zia­menti a fondo per­duto da una società, la Simest, con­trol­lata dalla Cassa Depo­siti e Pre­stiti. L’Ilva, però, non avrebbe potuto avere que­ste ero­ga­zioni, secondo quanto sostiene l’accusa, per­ché rice­veva paga­menti in seguito alle com­messe estere con dila­zioni a non più di 90 giorni. E così, sem­pre secondo le inda­gini, sarebbe stata costi­tuita la società sviz­zera che pren­deva le com­messe all’estero e poi si inter­fac­ciava con l’Ilva Spa. A quel punto, i paga­menti dalla società sviz­zera all’Ilva veni­vano dila­zio­nati nel tempo in modo da poter rien­trare nella nor­ma­tiva sulle ero­ga­zioni pub­bli­che. I pm avreb­bero accer­tato una truffa da 100 milioni di euro a par­tire dal 2007. A tanto ammonta il seque­stro ope­rato ieri dalla guar­dia di finanza di Milano nei con­fronti di Fabio Riva e degli altri inda­gati: altri 100 milioni sono stati invece seque­strati alla Riva Fire.

L’operazione di ieri, riguarda la terza tran­che dell’inchiesta della Pro­cura di Milano, coor­di­nata dal pm Fran­ce­sco Greco, sul gruppo lom­bardo. La prima tran­che ha invece ipo­tiz­zato che il patron Emi­lio Riva e il fra­tello Adriano, assieme ad alcuni pro­fes­sio­ni­sti, abbiano sot­tratto soldi alle casse dell’Ilva Spa, nascon­den­doli in para­disi fiscali e facen­doli poi rien­trare in Ita­lia attra­verso lo scudo fiscale del 2009. La pro­cura ha già seque­strato al gruppo 1,2 miliardi di euro per il reato di frode fiscale, sco­vando nel para­diso fiscale dell’isola di Jer­sey altri 700 milioni di euro scher­mati però da ben 8 trust. La seconda tran­che riguarda invece i rap­porti tra la hol­ding Rive Fire e l’Ilva con l’ipotesi di appro­pria­zione inde­bita ai danni dei soci di mino­ranza del colosso siderurgico.

Il ritorno di Fabio Riva in Ita­lia potrebbe avve­nire già a fine feb­braio. Il mana­ger fuggì in Inghil­terra un paio di set­ti­mane prima di essere col­pito da un’ordinanza di custo­dia cau­te­lare in car­cere che la gip di Taranto, Patri­zia Todi­sco, emise il 26 novem­bre 2012 nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva, con­te­nente le accuse di asso­cia­zione a delin­quere fina­liz­zata al disa­stro ambien­tale, emis­sione di sostanze nocive, avve­le­na­mento da dios­sina di sostanze ali­men­tari, omis­sione di cau­tele in mate­ria di sicu­rezza sul lavoro e cor­ru­zione (per le cui impu­ta­zioni ha rice­vuto un avviso di con­clu­sione delle inda­gini pre­li­mi­nari lo scorso otto­bre). Una fuga sospetta, tanto da far ipo­tiz­zare ai pm di Taranto la pre­senza di una talpa in pro­cura. I tempi della giu­sti­zia inglese non si sono rile­vati così dif­fe­renti da quelli ita­liani. Dalla richie­sta di estra­di­zione avan­zata dai magi­strati pugliesi è pas­sato un anno esatto. Gio­vedì scorso, presso la West­min­ster Magi­stra­tes Court di Lon­dra, si è svolta l’ultima udienza sul caso. Alle auto­rità inglesi i magi­strati di Taranto hanno inviato una memo­ria in vista della deci­sione finale, in cui hanno evi­den­ziato i motivi e la gra­vità dei reati per cui il numero 2 del gruppo deve essere estra­dato. I legali di Riva si sono oppo­sti attra­verso una memo­ria in cui met­tono in luce le gravi con­di­zioni di cri­ti­cità, a par­tire dal sovraf­fol­la­mento, pre­senti nel car­cere di Taranto. Vuoi met­tere con l’attico di Londra?


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