A Ginevra il teatrino dell’assurdo vince solo chi vuole che Assad resti

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L’ignobile silenzio che oggi concluderà il primo round di Ginevra 2, negoziato aperto con le grancasse sul palcoscenico ad alogene del Petit Palais di Montreux e mestamente sospeso nei corridoi del Palais des Nations ginevrino, al lumicino del neon e delle speranze. In dieci giorni, gli uomini del regime e delle opposizioni in esilio non si sono mai guardati negli occhi, non si sono mai stretti la mano, non si sono mai parlati direttamente, non si sono mai accordati sul cessate il fuoco, tanto meno sulla transizione «democratica e pluralista» già sottoscritta con Ginevra 1, meno ancora sul futuro di Assad (che resta il vero nodo).
Non è mai entrata in vigore neppure la tregua di Homs, annunciata domenica dal mediatore dell’Onu, Lakhdar Brahimi: i governativi che assediano la città non si fidano a far entrare i convogli della Croce rossa, i ribelli non si fidano a lasciar andare i civili. Ciononostante, tra una settimana si dovrebbe ripartire da dove ci si è fermati: la discussione su Ginevra 1 che, peraltro, prevede proprio quel che si vorrebbe concludere con Ginevra 2.
In questo teatrino dell’assurdo diplomatico, con un’opposizione che rappresenta pochissimo e una controparte senza reale peso, il pensiero di Brahimi è che tirare a campare coi colloqui in Svizzera sia comunque meglio che tirare le cuoia e basta in Siria. Vecchia volpe, l’algerino ha già capito che questo zero a zero ha in realtà un vincitore in chi vuole che Assad resti dov’è: la Russia, la Cina e l’Iran. E che non sarà questa coreografica, quasi inutile rappresentazione della pax onusiana a interrompere la tragedia: qualche novità, casomai, può arrivare dagli altri saloni del Palais dove americani e iraniani torneranno a vedersi in febbraio. Sempre che l’intesa nucleare di novembre e i nuovi sorrisi resistano. Sempre che la bomba Siria non faccia saltare anche quel tavolo.


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