Dublino via dalla crisi ma perde 300 mila posti

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DUBLINO — Le facce dei tassisti, identiche a quelle dei poliziotti dei Dipartimenti di Polizia di New York, eredità di secoli di emigrazione, hanno sempre il solito tratto bonario ma a sentire i loro racconti niente è più come prima. Le vetrine di O’Connell Street, una delle più eleganti strade di Dublino, vantano marchi famosi e costosi, ricordo degli anni Novanta quando l’Irlanda era la «tigre celtica» e cresceva al ritmo del 9 per cento, ma oggi i commessi di Bulgari e Benetton hanno l’aria scettica e tentano persino la caccia al cliente sull’uscio del negozio.
L’austerity della Troika, composta da Fmi, Bce e Unione europea, che si insediò il 21 novembre del 2010 dopo la violenta crisi internazionale, ha lasciato il segno. L’Ir-landa può vantare di essere il primo paese che ha riconquistato la completa sovranità economica: dopo un programma di assistenza da 85 miliardi e l’imposizione di circa 270 provvedimenti, alla fine del 2013 i «Lord protettori» dell’economia irlandese hanno fatto i bagagli. La settimana scorsa il Tesoro ha avuto il battesimo del fuoco sul mercato: 3,7 miliardi di bond decennali collocati al tasso del 3,5 per cento. «Un successo», ha commentato Michael Noonan, ministro delle Finanze della coalizione tra il centrodestra del Fine Gael e i laburisti che guida il paese dal 2011 quando furono mandati all’opposizione, dopo anni di potere, i centristi del Fianna Fail.
A che prezzo? Una cura da cavallo: le manovre dal 2011 al 2013 hanno pesato per 16,4 miliardi di euro, circa il 9,6 per cento del Pil. La spesa corrente, bestia nera di ogni governo europeo, subisce un taglio di 3,4 punti in quattro anni, dal 2011 al 2014. Le cifre parlano chiaro, spiega John MaCarthy, capo economista del Dipartimento delle Finanze di Dublino: «Abbiamo agito su pensioni e Welfare». Per il resto si sono arrampicati sugli specchi: ticket, tessera sanitaria elettronica, farmaci generici, Imu (che qui si chiama Local property tax: si paga dal luglio scorso al 2 per mille). Nel 2015 il deficit-Pil sarà comunque sotto il 3 per cento.
Malvolentieri hanno accettato le indicazioni della Troika di riformare il sistema dell’acqua che fa capo alla società pubblica Irish Water: fino ad oggi gli irlandesi la consumavano gratis. La Troika ha imposto il pagamento, gli irlandesi stanno istallando i contatori nelle case. Ma il processo va al rallentatore e l’Irish Times da un paio di giorni denuncia consulenze poco trasparenti in quello che i giornali chiamano il «dinosauro dell’acqua».
Visti sotto la griglia che conta per i mercati i numeri sembrerebbero positivi: dopo la caduta del 6,4 del Pil nel 2009 il prossimo anno si dovrebbe toccare, secondo il governo, il 2 per cento. «La crescita, sebbene modesta, torna ad essere diffusa », ha spiegato cautamente venerdì scorso il governatore della Central Bank of Ireland, Patrick Honohan, durante un mega convegno organizzato dal Trinity College e dalla Commissione europea, per celebrare il ritorno a casa del «figliol prodigo» Irlanda.
Ma i problemi restano. I dati certificati dalla Troika indicano un tasso di disoccupazione in diminuzione dal 14,7 per cento del 2011 al 12,3 atteso per quest’anno. Ma le slides dell’economista Zsolt Darvas, del think tank brussellese Bruegel, lasciano l’amaro in bocca. Almeno tre grafici suonano l’allarme: l’Irlanda durante la crisi ha perso il 12 per cento dell’occupazione, pari a circa 300 mila posti di lavoro; la disoccupazione di lungo termine (cioè coloro che sono disoccupati da più di un anno) è la terza più alta d’Europa (dietro Slovenia e Croazia); un quinto dei ragazzi vive in famiglie senza lavoro (il record negativo dell’Unione). Senza contare l’emigrazione: nell’ultimo anno hanno abbandonato l’Irlanda in 80 mila.
Lo sa anche Craig Beaumont, uomo dell’Fmi, capo della Troika, che lascia le ultime disposizioni con il biglietto dell’aereo in tasca:
«L’uscita dell’Irlanda dalla crisi si gioca nell’ultima parte di questo decennio». Se ne vanno, ma non è finita. Resta il debito: i salvataggi delle banche lo hanno raddoppiato, portandolo dal 64,4 per cento del 2009 al 124,4 del 2013. Il governo conta di averlo avviato verso la riduzione: il prossimo anno sarà del 120,8 del Pil con un ritorno di un buon avanzo primario che rassicura i mercati. Ma il problema è enorme: «La somma tra debito pubblico e privato in Irlanda è tra le più alte del mondo», osserva Dan O’Brien, dell’Institute of international and European Affairs, tra i più ascoltati economisti del paese.
Il punto è che il dopo-Troika per l’Irlanda è tutt’altra musica. Lo sviluppo basato sulla finanza, sul boom immobiliare, sul lavoro flessibile, sulla mini-corporate tax che fa da calamita alle multinazionali di Internet, non può più andare. E allora anche gli Irlandesi, come fa Nicholas Crafts, dell’Università di Warwich, recitano il mantra dell’innovazione, delle piccole imprese, dell’accesso al credito e degli skill delle classifiche Pisa-Ocse. La verità è che le multinazionali in questo paese rappresentano il 25 per cento del Pil e che le esportazioni provengono da industrie di proprietà irlandese solo per il 10 per cento. Ne è consapevole il governo che in documento, pubblicato sabato dall’Irish Times, lancia l’allarme: Bruxelles non consentirà più a Dublino di mantenere al 12,5 la tassa sulle società, quella che pagano Google, Facebook e Microsoft. Il rischio è che abbandonino il paese.
Le cose non vanno bene, anche se la speranza è l’ultima a morire, e anche se irlandesi sono un popolo con le spalle forti. Nonostante tutto un vero e proprio partito anti-euro, non è nato: «Il 78 per cento degli irlandesi è ottimista sul futuro», testimonia Barbara Nolan, capo della rappresentanza della Commissione a Dublino. Ma fino ad un certo punto: quando, nell’ottobre scorso, il governo ha tentato di avere il via libera con un referendum all’abolizione del Senato, è stato sonoramente battuto. La scommessa dell’Irlanda non è ancora vinta.


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