Kerry punta sull’Iran nella partita siriana

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A due settimane dalla conferenza sul lago Lemano, dunque, la situazione sembra di stallo, visto che molti dei protagonisti del vertice (e gli stessi Usa) non sono disposti ad ammettere al tavolo della trattativa ufficiale chi non ha sottoscritto le conclusioni della precedente conferenza di pace (Ginevra 1) che indicava le condizioni di massima per una transizione politica che, secondo Washington, deve prevedere l’uscita di scena di Assad e il coinvolgimento dell’opposizione politica al regime di Damasco nel governo del Paese.
L’Iran, Paese che sostiene a spada tratta il regime attuale, quell’accordo non lo sottoscrive. I progressi nelle relazioni tra Washington e Teheran, insomma, per ora sembrano limitati al negoziato nucleare. Ma la situazione rimane in movimento ed è presto per tirare conclusioni. L’apertura di Kerry all’Iran indispettisce l’Arabia Saudita e spinge il Syrian National Council, il blocco delle forze di opposizione ad Assad spalleggiato dai sauditi, ad annunciare che non parteciperà alla conferenza di Ginevra 2. Ma è proprio la radicalizzazione della posizione saudita che spinge gli Usa a cercare un’altra sponda nella tormentata area del Golfo. Col regime di Teheran il dialogo resta difficilissimo, ma gli americani cercano di dimostrare che, se rinuncia al suo radicalismo e cerca di giocare un ruolo costruttivo, per l’Iran si apre la possibilità del riconoscimento del suo ruolo come potenza regionale. Una prospettiva che Riad non è disposta ad accettare: i sauditi rilanciano, ostentando delusione per l’atteggiamento degli Usa e degli altri alleati occidentali. E sembrano decisi ad andare avanti da soli sulla strada dell’appoggio aperto ai ribelli, fiancheggiatori di Al Qaeda compresi.
Una prospettiva non certo tranquillizzante per chi sta cercando di stabilizzare quella turbolenta area del mondo. Ed è proprio in una prospettiva di stabilizzazione che va letta la sortita domenicale di Kerry. Le condizioni per portare l’Iran al tavolo del negoziato ancora non ci sono: toccherà al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, favorevole al coinvolgimento di Teheran, cercare di crearle. Rimane il fatto che a un Iran voglioso di rientrare nel gioco diplomatico per la prima volta viene offerta la possibilità di essere parte della soluzione di un problema che, da «burattinaio» di Hezbollah, fin qui ha ampiamente contribuito ad aggravare. Un altro momento della verità per Rouhani.


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