L’ADDIO A OROLOGERIA

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 LA DE Girolamo si è dimessa, secondo le sue parole, perché si è sentita non difesa dai colleghi di governo e per salvaguardare la propria dignità. Sul primo punto non vi sono dubbi. La scena della ministra che si difendeva da sola in Parlamento, davanti a un’aula semi deserta e alle sedie vuote dei colleghi, era un segnale politico chiarissimo. Sul secondo punto si potrebbe discutere con l’ex ministra se la tutela della dignità non sarebbe più efficacemente perseguita in altri modi. Per esempio, non partecipando a un mercato delle vacche sulla sanità pubblica e sulla pelle dei cittadini, come emerge dalle registrazioni che la riguardano. Oltre alla gestione dell’Asl di Benevento, sul ministero grava l’ombra di un’inchiesta della magistratura su truffe agricole ai danni dell’Unione. Tanto per non farsi mancare nulla.
Raccontano che Nunzia De Girolamo, dopo il governo, potrebbe lasciare anche il partito di Alfano, per ritornare alla corte di Berlusconi, dove l’impresentabilità non ha mai costituito un problema. Un segno della riconversione al credo berlusconiano è l’uso di una formula che è quasi la parola d’ordine di Forza Italia: «È in atto un complotto contro di me». La salvaguardia della dignità personale coincide, per un caso fortunato, con la difesa del futuro politico della De Girolamo, che solo il ritorno con Berlusconi le può assicurare.
È interessante notare come fra i molti motivi elencati dalla loquace De Girolamo non vi sia il più normale e ovvio. Nei paesi democratici i ministri si dimettono per potersi difendere da accuse, giuste o sbagliate, senza coinvolgere le istituzioni. Ci si dimette insomma davanti ai cittadini e nell’interesse del bene comune. In Italia dove i cittadini e il bene comune non contano nulla, mentre i partiti occupano tutto, ci si dimette invece soltanto per ragioni interne alla politica. Se il governo l’avesse difesa, De Girolamo non si sarebbe dimessa e forse non avrebbe mai lasciato il partito di Alfano. La stessa logica della polemica interna aveva determinato le dimissioni precedenti del vice ministro Fassina, pure non indagato e non sospettato di nulla. Non si è dimesso perché non condivideva la politica economica del governo, che sarebbe un argomento serio, ma perché il segretario del Pd aveva fatto una battuta irriguardosa nei suoi confronti. Beati loro che si prendono tanto sul serio.
Il governo andrà avanti anche senza la De Girolamo, che non lascia molti rimpianti. Come d’altra parte quasi tutti i ministri dell’agricoltura che l’hanno preceduta in questi venti anni, da quando insomma un referendum ha (avrebbe) abrogato il dicastero. Certo, è un governo che perde i pezzi per strada. Era nato come un governo di larghe intese, grande coalizione alla tedesca, e oggi è ridotto a governo di minoranza, anzi di minoranze. La minoranza del Pd, quella del centrodestra e quella del centro. Le dimissioni di ieri aprono la strada a un ricambio, ma qui, più che un rimpasto, servirebbe un miracolo.


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