Tasse, Gran Bretagna contro i big hi-tech

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ROMA — Anche gli inglesi si accorgono che i colossi del web e delle tecnologie più avanzate statunitensi con base in Europa, versano solo poche briciole di tasse all’Erario di Sua Maestà. E lo stesso premier inglese David Cameron sarebbe pronto ad intervenire con decisione sul delicatissimo tema.
Dopo l’esplosione del caso italiano e di quello francese, la querelle comincia a spostarsi nel resto del Vecchio Continente accendendo nuove polemiche attorno alla web-tax. La tassa di equità che dovrebbe finalmente entrare in vigore nel nostro Paese a metà 2014, fa breccia pure nel Regno Unito dove si comincia a guardare ai big del settore e ai loro bilanci per arrivare a drenare una maggiore percentuale di imposte alle aziende che — fino ad oggi legittimamente, visto che le norme lo consentono ancora — sborsano cifre ben al di sotto di quelle pagate dai concorrenti “residenti” nei Paesi europei.
Ad esempio, secondo il Financial Times, gran parte dei colossi tecnologici americani, da Apple a Microsoft, hanno pagato complessivamente soltanto 54 milioni di sterline di imposte sui redditi d’impresa registrati nel 2012 in Gran Bretagna. Una somma certamente modesta, se non irrisoria visto che corrisponde a meno dell’1 per cento dei ricavi. L’esempio britannico è infatti il clamoroso dato che sette giganti del settore hanno realizzato fatturati da ben 15 miliardi di dollari.
Tra l’altro il sistema utilizzato dai big tecnologici è semplice e va a colpire tutti i maggiori Paesi europei: la bassa imposizione fiscale che grava su queste aziende è dovuta alla possibilità concessa dalle norme Ue di concentrare le attività economiche in nazioni dove il peso delle tasse è inferiore, e di molto, rispetto al resto del Continente dove si naviga in acque agitate. A trarne i maggiori benefìci Paesi come l’Irlanda, la Svizzera o il Lussemburgo dove le “sette sorelle” hitech basano le proprie attività proprio per staccare al Fisco locale assegni molto meno onerosi di quanto dovrebbero in altre nazioni.
Sempre restando in Gran Bretagna l’aliquota fiscale globale che Apple, Google, Microsoft e Ebay hanno pagato nel 2012 è notevolmente inferiore a quella dovuta soltanto cinque anni fa: Apple, ad esempio, è arrivata al 25%, Microsoft, poco sotto col 24%, Google se l’è cavata col 19% mentre eBay, con sede in Lussemburgo ha sborsato solo il 15%. In generale le aliquote onorate sulle attività straniere vanno da sotto il 10% della big di Seattle, al 5% o meno delle altre tre.
Ma la resistenza dei grandi attori di questo settore sarà molto difficile da aggirare visto che in alcuni casi (Facebook su tutti), l’innalzamento dell’asticella delle tasse a livelli omogenei in Europa potrebbe portare ad una Waterloo dei bilanci: già oggi, infatti, l’azienda di Mark Zuckerberg con una tassazione ancora “amica” nell’Ue vede salire l’impatto delle imposte complessivamente
dovute all’89% e Yahoo, altra fortezza della rete, è già oggi al 33% globale nonostante le maglie larghe delle tasse Ue. E quindi una stretta fiscale, attraverso una delle web-tax ipotizzate, porterebbe ad ulteriore riduzione degli utili nel medio termine.


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