La resistenza delle istituzioni

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Un attacco rivolto al Parlamento e alla presidenza della Repubblica e ai legittimi detentori dei ruoli in quelle istituzioni. Quei guerrieri faranno poi i conti con gli esiti dei loro comportamenti, causati, è molto probabile, da mesi, quasi un anno oramai, di frustrazioni per non avere tuttora trovato il bandolo della matassa della rappresentanza politica che troppi milioni di elettori hanno incautamente affidato a «concittadini» programmaticamente inesperti. Con le frustrazioni sono venute le esasperazioni incontrollate. Già sottoposte a martellamenti tutt’altro che liberali che, ad esempio, non riconoscevano il principio cardine delle democrazie costituzionali, ovvero sfere di autonomia per ciascuna e tutte le istituzioni, già oggetto di una riforma costituzionale, quella del 2005, cancellata dal referendum del giugno 2006, le istituzioni italiane continuano a dare prova di notevole flessibilità e capacità di adattamento e risposta. Questo non significa che una buona riforma non sia utile a migliorarne il funzionamento. La Corte costituzionale ha supplito almeno in parte all’ignavia, non del Parlamento, ma dei partiti e dei loro dirigenti, stracciando (stralciando?) le parti peggiori della legge elettorale con le quale sono stati eletti i parlamentari nelle elezioni del 2006, 2008, 2013. Nonostante urla, grida e spintoni, il Parlamento ha iniziato l’esame della proposta di riforma elettorale e dà il chiaro segno di sapere proseguire, che non vuole affatto dire approvare il testo com’è, ma esaminarlo introducendovi le modifiche necessarie e possibili, anche molte. Nella tempesta di schiamazzi, la presidente della Camera ha opportunamente utilizzato lo strumento a sua disposizione, detto ghigliottina, necessario a superare un’impasse senza senso e senza scopo. In seguito ha anche, altrettanto opportunamente, richiamato il governo a evitare di eccedere nel ricorso ai decreti. È noto, però, che il problema non sta nelle manie di grandezza e di dominio del governo, né di questo né dei molti precedenti, ma nella struttura del bicameralismo tutt’altro che perfetto e proprio per questo da riformare, e nell’ipertrofia dei parlamentari stessi, sempre in egocentrica competizione fra Camera e Senato a mostrare di sapere scrivere il maggior numero e i più intelligenti degli emendamenti. Fare opposizione è difficile, un po’ dappertutto, non soltanto, come crede qualche commentatore «non comparatista», in Italia, ma gli spazi bisogna saperseli conquistare e nel Parlamento italiano, chi conosca il regolamento, le consuetudini e le pratiche, può fare molta strada. La tenaglia delle Cinque Stelle mira a colpire sia Montecitorio e Palazzo Madama sia il Quirinale. Dal 1994, anche se la memoria politica di nessuno dei parlamentari del Movimento Vaffa è in grado di giungere tanto indietro nel tempo, ad oggi, con stili pure molto differenti, i presidenti della Repubblica si sono fatti carico di supplire alle, talvolta drammatiche, carenze dei partiti e di un sistema di partiti frammentato e fluttuante. Attaccare, indebolire, paralizzare la presidenza della Repubblica significa inevitabilmente mettere in crisi uno degli assi portanti della democrazia italiana. Anche una rapida analisi preliminare delle accuse rivolte al presidente Napolitano per procedere al suo impeachment rivela quanto siano pretestuose. Laconicamente, riferendosi alla richiesta di procedere alla sua messa in stato d’accusa, il presidente Napolitano (non il «re», come afferma qualche improvvisato teatrante, poiché è stato democraticamente eletto e, persino contro le sue preferenze personali e istituzionali, rieletto), si è limitato ad affermare «faccia il suo corso». Vale a dire che la presidenza riconosce la sfera di autonomia del Parlamento e ha fiducia nell’esercizio di quella autonomia. Chiaro che chi si pone l’obiettivo, un tantino irrealistico, della conquista del cento per cento dei voti, trovando un ostacolo nella legge elettorale in discussione, non riesca neppure a capire che la democrazia parlamentare non contempla che la presidenza come istituzione venga asservita ai voleri di chi vince le elezioni. Alla fine della fiera, in attesa di riforme, non qualsiasi, ma intese a semplificare i circuiti istituzionali, a renderli più trasparenti e più efficaci, rimane che l’impianto complessivo della Costituzione italiana e la dinamica dei rapporti istituzionali hanno retto in maniera più che apprezzabile alle sfide sia dei tracotanti sia degli incompetenti. È una lezione sulla quale anche i più motivati dei riformatori dovrebbero riflettere e di cui dovrebbero tenere grande conto.


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