La via del Quirinale, niente crisi in Parlamento

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ROMA — Ha seguito anche lui in diretta streaming la direzione del Pd, ma solo per valutare dai toni quanto sarebbe stata traumatica la chiusura del duello tra Renzi e Letta. L’esito era scontato, così come «inequivoco e motivato» è parso il documento finale, con cui i democratici hanno approvato l’urgenza di un cambio di guida, di orizzonte temporale (e forse della stessa maggioranza) del governo. La crisi è aperta e da oggi il compito di risolverla toccherà a Giorgio Napolitano, secondo il classico rituale: ultima seduta del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi e successivo congedo del premier al Quirinale per formalizzare le dimissioni già annunciate ieri. Ma siccome questa è una crisi nata fuori dalle Camere, le opposizioni — da Forza Italia al Movimento 5 Stelle — si sono subito saldate sulla richiesta di «parlamentarizzarla». Ponendo polemicamente la questione al capo dello Stato, come un problema di rispetto delle regole democratiche.
Questo sbocco, in realtà, è legato a diverse variabili e, nella particolare circostanza scattata ieri, sembra del tutto da escludere. Molto dipende da quello che dirà Letta nel faccia a faccia sul Colle, perché gli spetta una valutazione del contesto politico generale, fermo restando che il presidente può anche dissentire, ovviamente. In linea teorica, il capo dello Stato potrebbe infatti respingere le dimissioni e rinviarlo alla Camere, se ritenesse che vi sia una situazione di incertezza. Se però vi fosse (come ormai c’è) una sicurezza assoluta che il passaggio parlamentare è inutile, imporlo avrebbe il senso di una plateale dilazione, di una bizantina perdita di tempo. E in almeno una trentina di casi della storia repubblicana, rispolverati dai tecnici del Quirinale, è successo così.
Certo, Forza Italia e 5 Stelle potrebbero obiettare che alle opposizioni andrebbe comunque garantita una sorta di «diritto alla tribuna», cioè la libertà di esprimere in Aula il loro giudizio sullo strappo politico che si è consumato ieri (un diritto, per inciso, non proprio speculare al diritto «potestativo» del premier di parlare o replicare nella stessa sede). Un simile approdo, insomma, non è imposto dalla prassi e stavolta non avrebbe neppure un significato costituzionale, perché — al di là della confusione dei linguaggi con cui la politica si sta ormai esprimendo — gli atti devono sempre avere uno scopo. In questo caso lo scopo non può essere solo quello di dare sfogo alle prevedibili proteste dell’opposizione o di pretendere una pubblica e inutile umiliazione del presidente del Consiglio: dovrebbe essere, invece, la ricerca, in Parlamento, di una maggioranza. Ed è bene ricordare, infine, che evitando quel passaggio, non è che la democrazia risulti ferita, come già si recrimina in anticipo: è, come si dice, «in re ipsa», sottintesa nei fatti stessi, e si dispiega pienamente nel momento in cui le Camere dovranno discutere e votare la fiducia al premier incaricato.
In passato, nella Repubblica dei partiti, era frequentissimo il ripetersi di crisi extraparlamentari: ossia non originate in Parlamento, ma maturate soprattutto nella segreteria del partito su cui faceva perno il sistema, la Dc. Ma anche di recente questo schema si è ripetuto. Due casi esemplari: l’epilogo del Berlusconi-4 e quello dell’esecutivo di Mario Monti (basta rileggersi le spiegazioni fornite dai comunicati del Quirinale l’8 novembre 2011 e 21 dicembre 2012).
Alla luce di questi precedenti e di ciò che è emerso nelle ultime ore, si può dunque dare per scontato che il Colle farà uscire fin da stasera il calendario delle consultazioni con i gruppi parlamentari. Approfittando della chiusura dei mercati per il weekend e glissando così possibili speculazioni contro l’Italia sui mercati, il presidente comincerà domattina a sentire i partiti più piccoli per completare il giro d’orizzonte entro sera, se possibile, o al più tardi nella mattinata del giorno successivo. Il che permetterebbe a Renzi di ottenere l’incarico domenica e di essere già a Palazzo Chigi lunedì, quando le borse riapriranno. L’obiettivo, come sempre per Napolitano, è chiudere queste parentesi in fretta e bene.
Marzio Breda


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