Il cantiere senza fine delle pensioni La controriforma della legge Fornero

Il cantiere senza fine delle pensioni La controriforma della legge Fornero

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ROMA — Tre anni di vita e sette deroghe. Che ne è stato della riforma Fornero delle pensioni varata nel 2011 per mettere in equilibrio il sistema, risparmiando 20 miliardi all’anno e introducendo maggiore equità tra le generazioni? Il governo Monti, appena insediato, la varò imponendo il sistema contributivo a tutti dal 2012, abolì di fatto le pensioni di anzianità, introducendo disincentivi per chi lasciava il lavoro prima dei limiti anagrafici previsti per la vecchiaia, a loro volta innalzati.
All’epoca si decise che a «salvarsi» dalle nuove regole dovessero essere in 50 mila: chi aveva maturato i vecchi requisiti entro il 31 dicembre 2011, i lavoratori in mobilità al 31 ottobre 2011 e quelli coinvolti in piani di esubero, anche se avessero raggiunto i requisiti dopo la fine del 2011. Infine gli ex lavoratori autorizzati ai versamenti volontari entro il 31 ottobre 2011.
Emerse subito però il caso dei lavoratori che, avendo lasciato il lavoro dietro incentivo, in seguito all’innalzamento dell’età pensionabile, si trovavano senza lavoro e senza requisiti per l’assegno. Per loro fu coniato il termine «esodati» e l’Inps si incaricò di censirli e valutarne l’effetto sui conti pubblici.
È iniziato così il picconamento della riforma Fornero che ha subito nel tempo una serie di deroghe, dettate dalla necessità di dare alle categorie interessate un approdo economico, per un totale di 170.230 unità. Tutto questo ha già un costo elevato: 11 miliardi e 600 milioni.
La prima deroga scatta nel giugno del 2012 e riporta a prima della Fornero i lavoratori in mobilità ordinaria, in deroga o lunga la cui attività fosse cessata al 4 dicembre 2011; quelli risultanti a carico dei fondi di solidarietà e i dipendenti statali in esonero alla stessa data; gli autorizzati al versamento volontario dei contributi previdenziali con decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2014 che non avessero lavorato dopo essere stati autorizzati alla contribuzione volontaria; i lavoratori in congedo per assistere figli disabili; i sottoscrittori di un accordo individuale o collettivo cessato entro il 31 dicembre 2011 senza aver trovato nuova occupazione e aventi diritto a pensione entro il 6 gennaio 2014.
Quest’ultimo termine è stato poi spostato avanti di un anno con il decreto sulla spending review del dicembre 2012, un aggiustamento di tiro che coinvolse 55 mila «salvaguardati». Tra questi, i lavoratori in esubero i cui accordi fossero stati stipulati entro il dicembre 2011 e coloro che avessero maturato il diritto di prestazioni a carico di fondi di solidarietà entro il 4 dicembre 2011. Infine anche i contributori volontari con decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2015 che nel frattempo non avessero però lavorato.
Si arriva così alla legge di Stabilità 2013 con una deroga per altri 10.130 lavoratori: di nuovo quelli collocati in mobilità ordinaria o in deroga, ma questa volta oltre l’entrata in vigore della Fornero, cioè entro il 30 settembre 2012, purché aventi diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2014. Poi i cessati entro il 30 giugno 2012, anche se nel frattempo hanno lavorato, purché a tempo e con un reddito massimo di 7.500 euro. Per la prima volta i contributori volontari in mobilità ordinaria, purché tali entro il 4 dicembre 2011 e con requisiti per pensionarsi entro il 6 gennaio 2015.
Il cambio di passo si ha con il quarto intervento, quello del governo Letta, che nell’agosto scorso riporta allo schema pre Fornero 6.500 persone, per la prima volta facendovi rientrare i licenziati nel 2009-2011 anche nel caso nel frattempo avessero lavorato, purché a tempo e con un reddito annuo lordo massimo di 7.500 euro, e decorrenza della pensione dal gennaio 2015. La norma viene inoltre estesa per la prima volta ai dipendenti di Regioni, Asl e enti strumentali esonerati che avessero presentato domanda entro il 4 dicembre 2011.
Si arriva così all’ultima legge di Stabilità con un intervento che tocca 23 mila pensionandi: in questo caso i cessati in base a accordo entro il 31 dicembre 2012 e i licenziati nel periodo 2007-2011 vengono tutelati anche se, lavorando a tempo, hanno guadagnato più di 7.500 euro, mentre i contributori volontari, anche in mobilità ordinaria, possono avere lavorato tra il 2007 e il 2013.
L’ultimo ritocco alla Fornero è stato approvato solo dalla Camera, lo scorso mese, e tocca 32 mila lavoratori. La norma sposta il termine utile per maturare la decorrenza della pensione al 6 gennaio 2016 per contributori volontari, lavoratori in congedo parentale, cessati a seguito di accordo e licenziati. Per la prima volta vi rientrano i lavoratori a tempo determinato, cessati nel 2007-2011 e non rioccupati stabilmente, purché maturino la pensione nel 2016.
Finora la riforma Fornero ha dovuto fare i conti con l’impatto della crisi: i «salvaguardati» sono individui senza lavoro oppure precari che vengono espulsi dal ciclo lavorativo definitivamente. Diverso è l’impatto della settima deroga, quella che sta realizzando il governo Renzi in queste ore. Sia nel caso della cancellazione dei disincentivi della Fornero al pensionamento anticipato, sia nel caso degli insegnanti «quota 96» cui il decreto P.a. concede contrariamente al parere del ministero dell’Economia, di andare in pensione con i requisiti pre Fornero, l’obiettivo è incentivare il ricambio generazionale nella P.a, come ha spiegato il ministro Marianna Madia. Per questo si pensionano per la prima volta lavoratori che sono in servizio e un reddito ce l’hanno. Sui costi dell’operazione pesano i rilievi della Ragioneria e ora quelli del commissario alla spending review , Carlo Cottarelli. Il timore più generale in via XX Settembre è che si crei un pericoloso precedente: un primo importante varco al ridimensionamento della «Fornero», chiave di volta finora della sicurezza dei conti pubblici.
Antonella Baccaro


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