Prima vittima di Ebola negli Stati Uniti

Prima vittima di Ebola negli Stati Uniti

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 MADRID Ci sono almeno due buone notizie sul focolaio spagnolo di Ebola. La prima è che la paziente numero uno reagisce bene alle cure e la febbre sta scendendo. È sicuramente troppo presto per cantare vittoria, ma è comunque un buon segno. Come il fatto che altri due pazienti in osservazione siano stati dimessi perché negativi al virus e privi di sintomi. La seconda buona notizia è che il cerchio per confinare la diffusione del virus sembra essersi chiuso e che la superficialità della prima reazione potrebbe rivelarsi un errore utile a evitarne altri. In Spagna e nel resto d’Europa.
Da ieri a Madrid ci sono più di 80 persone sotto osservazione. Sono i colleghi della infermiera malata che avevano accudito un missionario rientrato dall’Africa e poi morto di Ebola a fine settembre. Poi i sanitari e barellieri entrati in contatto con Teresa al suo ricovero in un ospedale non preparato al trattamento delle malattie infettive. E infine sono state posti nel cerchio di allerta coloro che hanno avuto a che fare con la malata quando, nonostante qualche linea di febbre, nessuno pensava a un contagio: il marito, la dottoressa della mutua che le aveva diagnosticato un’influenza e due estetiste che l’avevano depilata in vista delle vacanze. Ora, se chiunque di loro dovesse manifestare il più lieve malessere scatterebbe la quarantena. L’incredibile superficialità che ha permesso all’infermiera di vivere a casa sua per sei giorni, nonostante avesse Ebola in corpo, dovrebbe rimanere un errore isolato. Entro metà novembre, l’eventuale incubazione del virus sarà finita per tutti e la lampadina di allarme sulla Spagna si potrà spegnere.
Madrid ha ammesso ieri davanti al Comitato di Sicurezza Sanitaria dell’Ue che «il protocollo di sicurezza potrebbe essersi rilassato» così che sia il contagio dell’infermiera Teresa Romero sia l’esposizione al virus di chi le è stato vicino sono da considerarsi incidenti non ripetibili. Il Comitato invierà due esperti per collaborare nell’individuazione del baco nel sistema. Non è solo Madrid ad accumulare «lessons learned», lezioni apprese, come dicono gli americani. Sempre ieri, la Commissione europea ha stabilito che qualsiasi Paese Ue volesse rimpatriare dei malati di Ebola, dovrà seguire un protocollo di sicurezza comune. Sarà pure lenta, ma comunque è una reazione.
Le notizie buone sono finite. Tocca registrare le altre. È morto in Texas Thomas Duncan, cittadino liberiano che aveva nascosto ai sanitari d’essere stato in contatto con un malato di Ebola in Africa. Anche a Duncan come all’infermiera spagnola era stata diagnosticata una banale influenza. Ieri sera è stato ricoverato in osservazione uno sceriffo della contea di Dallas che era stato nella sua casa. Gli Usa stringono i controlli agli aeroporti, misurando la temperatura dei passeggeri in arrivo dall’Africa, in Spagna invece sta cambiando la natura del dibattito: da sanitario a politico. La linea di difesa governativa sembra voler addossare più responsabilità possibili alla stessa Teresa. Sarebbe stata lei, sbagliando una manovra nella fase di svestizione della tuta protettiva, a toccarsi il viso con un guanto. Errore umano, quindi, non di protocolli o attrezzature. Altra colpa della donna sarebbe stata di non aver spiegato al medico di base il rischio Ebola legato al suo lavoro. Infine, dal Comune, c’è anche chi la sospetta di aver mentito sulla reale entità della febbre mentre era a casa.
Dall’opposizione, invece, si mettono in luce le mancanze delle autorità. I sindacati della Sanità fanno notare che una manovra tanto complessa come togliersi la tuta simil astronauta senza che le parti esterne contaminate tocchino quelle interne pulite non si può insegnare in una lezione teorica di dieci minuti come è successo a Teresa. Sotto accusa anche l’ordine al momento del ricovero di chiamare un’ambulanza qualunque (i tre sanitari sono ora in osservazione) e andare in un ospedale qualunque (i 22 del pronto soccorso sono anch’essi sotto scrutinio). Invece di usare l’infermiera come capro espiatorio, puntano alla testa della ministro della Sanità Ana Mato. In mezzo si è messa, ovviamente, la Procura aprendo un’inchiesta.
Andrea Nicastro


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