La lotta per la libertà non è uguale alla lotta al ter­ro­ri­smo

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Non era affatto scon­tato in un paese in cui la sirena del Front Natio­nal trova cre­scente ascolto.

Tut­ta­via, secondo una sag­gia con­sue­tu­dine laica, con­verrà dubi­tare dei mira­coli. Due ne sono stati solen­ne­mente annun­ciati da Parigi.

Il primo con­si­ste nella repen­tina ricon­ci­lia­zione, per non par­lare di impeto fusio­nale, tra gover­nanti e gover­nati: il «popolo si stringe intorno ai suoi leader».

Il secondo nella rina­scita dalle ceneri di Char­lie Hebdodell’ Europa poli­tica, pro­prio nel paese che, per giunta, ne aveva boc­ciato la Costituzione.

Che nel momento della più estrema minac­cia si invo­chi la pro­te­zione dei rispet­tivi governi è un sen­ti­mento com­pren­si­bile, ma che que­sti ultimi deb­bano essere per­ce­piti, sem­pre e comun­que, come la sola garan­zia delle nostre libertà, nel loro eser­ci­zio e nella crea­zione delle con­di­zioni che lo ren­dono pos­si­bile, non è che pro­pa­ganda priva di ogni credibilità.

Ordi­nare un blitz non è ancora di gran lunga prova di buon governo.

Quanto all’ Europa poli­tica, ricon­dotta alla lotta con­tro il ter­ro­ri­smo e al coor­di­na­mento tra poli­zie e ser­vizi, non è certo un passo da gigante sulla via dell’Unione. Tanto meno quando voci impor­tanti si levano, con la lode­vole ecce­zione ita­liana, a favore della sospen­sione o revi­sione del trat­tato di Schengen.

Non sta in quel cor­done di pre­mier la pro­spet­tiva europea.

La stampa di mezzo mondo titola sui «grandi della terra», (espres­sione di per sé dete­sta­bile) euro­pei e non, con­ve­nuti nella capi­tale fran­cese in difesa della «libertà» e delle sue con­crete arti­co­la­zioni quale quella, basi­lare, di stampa e di espressione.

Quanto simili valori pos­sano stare a cuore all’ungherese Vik­tor Orban, al mini­stro degli esteri russo Lavrov, al pre­mier turco o al re di Gior­da­nia ognuno lo può facil­mente con­sta­tare. E quale inter­pre­ta­zione ne pos­sano dare, poi, il greco Sama­ras o lo spa­gnolo Rajoy sarebbe pure un inte­res­sante oggetto di discus­sione. Qual­cuno si sarà detto che «Parigi val bene una messa» offi­ciata in nome della libertà, anche la più «blasfema».

Ma non è que­sto il punto decisivo.

Il fatto è che la lotta al ter­ro­ri­smo non è la stessa cosa della lotta per la libertà, seb­bene si cer­chi ripe­tu­ta­mente di con­fon­derle, appiat­tendo la seconda sulla prima.

In primo luogo per­ché ogni governo può ricon­durre chi gli pare sotto que­sto mar­chio infa­mante. E se su Al Qaeda e il Calif­fato sono tutti d’accordo, almeno per quanto emerge alla luce del sole, e tutti pos­sono dun­que mar­ciare tenen­dosi sotto brac­cio, in altri casi non è affatto così.

In secondo luogo per­ché la lotta al ter­ro­ri­smo può essere con­dotta, e il più delle volte lo è stato, facendo ricorso alla restri­zione delle libertà indi­vi­duali e col­let­tive, anche quando la si volesse con­si­de­rare come con­di­zione neces­sa­ria e pre­li­mi­nare all’esercizio di que­ste ultime.

E’ una distin­zione (non una reci­proca esclu­sione), quella tra «libertà» e «sicu­rezza», tanto deci­siva quanto offu­scata dalla testa di Medusa del grande cor­teo pari­gino. Sono i noti para­dossi della demo­cra­zia e della tol­le­ranza, che tut­ta­via non pos­sono essere elusi se non can­cel­lando l’una e l’altra dal nostro oriz­zonte politico.

In que­sti prin­cipi, i fau­tori della guerra glo­bale, e di quella interna con­tro le cosid­dette «classi peri­co­lose», vedono appunto la nostra debo­lezza, il fianco espo­sto alle armi del nemico. Al quale invi­diano, più o meno espli­ci­ta­mente, quell’idea di «ini­mi­ci­zia asso­luta» che ne ispira effet­ti­va­mente l’azione, recla­mando vio­lenza eguale e contraria.

La con­di­zione di guerra, inu­tile negarlo, esi­ste. Il fatto che l’Europa non ne sia affatto inno­cente o estra­nea, non can­cella quella bar­ba­rie con la quale è impos­si­bile scen­dere a patti.

Ma, nel cuore del Vec­chio con­ti­nente, con­tra­ria­mente a quanto auspi­cano isla­mi­sti e destre non solo estreme, le sor­genti di una guerra di reli­gione pos­sono ancora essere prosciugate.

E’ quello che milioni di per­sone chie­de­vano per le vie di Parigi. Non «strin­gen­dosi intorno ai governi», ma piut­to­sto aggre­dendo le logi­che iden­ti­ta­rie, gli egoi­smi nazio­nali e gli inte­ressi domi­nanti che ne gui­dano l’azione.



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