Gre­cia, i retroscena del pressing Ue

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Nella capi­tale greca si sapeva a priori che lo scon­tro tra un governo delle sini­stre e l’establishment euro­peo sarebbe stato ine­vi­ta­bile. Non tanto per­ché «l’altra Europa» a cui fa rife­ri­mento Syriza — gli Stati uniti d’Europa — va in una dire­zione diversa rispetto alla strut­tura attuale dell’Ue, basata sui Trat­tati di Maa­stri­cht e di Lisbona, dove la logica dei mer­cati pre­vale sulla poli­tica, o meglio domi­nano le poli­ti­che neoliberiste.

L’alto livello di ten­sione tra Atene da una parte e Bru­xel­les e Ber­lino dall’altra, pre­sen­tata come man­canza di fidu­cia, è ine­vi­ta­bile nel momento in cui Tsi­pras, pur pre­sen­tan­dosi prag­ma­tico e dispo­sto ad appli­care solo una parte del pro­gramma di Salo­nicco per far fronte alla crisi uma­ni­ta­ria greca, non é dispo­sto a seguire le poli­ti­che pre­ce­denti, come vogliono i part­ner euro­pei. La ristrut­tu­ra­zione del debito greco è la pie­tra ango­lare, l’elemento por­tante per il risa­na­mento eco­no­mico della Gre­cia e per una costru­zione euro­pea diversa dall’attuale.

Tutto ció era noto. Ma tutto som­mato ad Atene spe­ra­vano che l’«avversario», ovvero i cre­di­tori inter­na­zio­nali, avreb­bero rispet­tato le regole del gioco. A distanza di un mese e mezzo dallo scru­ti­nio del 25 gen­naio, invece, ció che si regi­stra é una lotta quasi acca­nita con­tro il governo di Ale­xis Tsi­pras, il quale rispetta i suoi impe­gni verso i cre­di­tori nono­stante i gravi pro­blemi di liqui­ditá. Visto che l’ aggiu­sta­mento di bilan­cio greco è stato piú pesante che altrove (i tagli di spesa e le misure fiscali hanno dimi­nuito del 45% il red­dito delle fami­glie con­tro il 20% del Por­to­gallo e il 15% di Ita­lia e Irlanda), Atene vor­rebbe una solu­zione basata per il momento sull’accordo dell’Eurogruppo del 20 feb­braio scorso. Quindi un nego­ziato a livello poli­tico, un’apertura di trat­ta­tiva come ha scritto pochi giorni fa il vice-premier Yan­nis Dra­ga­sa­kis sul Finan­cial Times.

I part­ner euro­pei, invece, non solo non sem­brano dispo­sti a dare tempo e spa­zio al neo­go­verno greco, ma sem­pre di piú c’è la netta impres­sione che vor­reb­bero la sua caduta, la messa in angolo di Syriza. E usano a que­sto pro­po­sito tutti i mezzi: la Bce che ha chiuso i rubi­netti del finan­zia­mento di emer­genza (Ela) che tiene in piedi le ban­che gre­che; l’Euroworking group e l’Eurogruppo che chiede dati tec­nici delle finanze gre­che — che guarda caso sono sem­pre nega­tivi o man­canti — come pres­su­po­sto per un nego­ziato poli­tico; e la stampa inter­na­zio­nale che, quando non mente, diventa per­fino più rea­li­sta del re.

A causa della man­canza di liqui­ditá nelle casse dello Stato elle­nico tutti, o quasi, par­lano del gre­xi­dent, cioé di un default non voluto o di un gre­xit (Schaeu­ble addi­rit­tura ha detto a Varou­fa­kis che Ber­lino sarebbe dispo­sto ad aiu­tare l’ uscita della Gre­cia dall’eurozona); tutti sot­to­li­neano ad ogni occa­sione i bene­fici che hanno avuto i greci dagli aiuti finan­ziari pari a 240 miliardi di euro otte­nuti nel mag­gio 2010 e nell’ otto­bre 2011, ma pochi notano che sol­tanto il 10% di que­sto flusso di soldi é stato assor­bito per i fab­bi­so­gni interni e veri del paese. Il resto é ser­vito per rica­pi­ta­liz­zare le ban­che gre­che — le quali peró non pre­stano un euro alle imprese medie e pic­cole in stato di emer­genza — e sopra­tutto per pagare gli inte­ressi sui capi­tali dei pre­stiti ai cre­di­tori inter­na­zio­nali. Vale a dire che la Gre­cia prende in pre­stito sem­pre di più dai suoi part­ner (e que­sto vale per l’ Ita­lia e tutti i paesi) per pagare debiti pre­ce­denti. Intanto decine di migliaia di greci fanno la fame, per­dono i loro posti di lavoro, si amma­lano, i piú gio­vani scel­gono le vie di migra­zione, ecc., ecc. Le vit­time umane, lo sfa­celo sociale, l’annientamento del wel­fare state e la per­dita del 25% della richezza nazio­nale in Gre­cia sono con­si­de­rate dall’establishment euro­peo per­dite collaterali.

Chi viene bene­fi­ciato e chi gua­da­gna con la crisi greca? In Ger­ma­nia ma anche nel resto d’Europa a sen­tire i media e parte del mondo poli­tico — che non per­dono occa­sione per disprez­zare i Pigs, i paesi del sud — i con­tri­buenti tede­schi pagano «di tasca loro» per i greci. Ma que­sti opi­nion makers — su cui Wol­fang Schau­ble insi­ste sem­pre nei suoi discorsi — non dicono nulla del fatto che la Ger­ma­nia gra­zie alla crisi greca e in spe­ci­fico alla dif­fe­renza dei tassi d’interesse ha gua­da­gnato dal 2009, secondo la Lon­don School of Eco­no­mics, quasi 80 miliardi di euro.

L’economista ame­ri­cano Paul Krug­man (pre­mio Nobel) ha scritto sul New York Times che «i poli­tici tede­schi non hanno mai spie­gato ai loro cit­ta­dini “la mate­ma­tica”, ma hanno scelto la via facile del mora­li­smo per l’atteggiamento irre­spon­sa­bile dei mutuati». Unica ecce­zione dalla Grande Koa­li­tion, Klauss Regling (Mes), che ha detto: «Finora i pre­stiti di sal­va­tag­gio alla Gre­cia non sono costati un solo euro al con­tri­buente tedesco».

Que­sta cam­pa­gna dif­fa­ma­to­ria piena di ste­reo­tipi («i greci pelan­droni», pro­mossa non solo dalla Bild ma anche da quo­ti­diani «auto­re­voli» ita­liani) nasconde una realtá emersa recen­te­mente dall’Office for Natio­nal sta­ti­stics bri­tan­nico: i «pigri» greci lavo­rano molto di piú rispetto ai «disci­pli­nati» tede­schi (42,2 ore set­ti­ma­nali i greci, 35,5 ore i tede­schi)». È que­sta cam­pa­gna che ali­menta il nazio­na­li­smo greco, fino alla minac­cia dell’apertura dei con­fini per­ché i jiha­di­sti inva­dano la Germania.

Mer­co­ledì i «18» dell’Eurozona veni­vano descritti dalle agen­zie inter­na­zio­nali come «irri­tati per­ché il governo di Tsi­pras si rifiuta di pro­muo­vere le riforme», vale a dire gli impe­gni presi dai governi pre­ce­denti. Costello Declan, il rap­pre­sen­tante della Com­mis­sione euro­pea alle «isti­tu­zioni» è con­tra­rio (sic) al pro­getto di legge che faci­lita i con­tri­buenti greci a pagare i loro debiti allo Stato, nono­stante che non influenzi nega­ti­va­mente il bilan­cio dello Stato. E poi tutti sono con­trari a Yanis Varou­fa­kis, per­ció fanno di tutto per farlo allon­ta­nare dalla sua carica. Il video falso del mini­stro delle finanze greco che manda a quel paese con il dito alzato la Ger­ma­nia é solo l’ ultimo epi­so­dio di una lunga fila di menzogne.

Il viag­gio di Tsi­pras a Ber­lino il 23 e l’incontro con i lea­der euro­pei ai mar­gini del sum­mit di Bru­xel­les di ieri sera e pro­ba­bil­mente anche oggi, dovrebbe ser­vire per disten­dere il clima, ma sará dura per pre­mier greco.

«La guerra é la con­ti­nua­zione della poli­tica con altri mezzi… é un atto di forza che ha lo scopo di costrin­gere l’avversario a sot­to­met­tersi alla nostra volontá» scri­veva Karl von Clau­sewitz. E Atene, secondo Ber­lino, deve sot­to­met­tersi alla volontá dei suoi part­ner. Clau­sewitz aveva notato per primo che «la prima vit­tima di ogni guerra è la veritá». Tante le cose scritte e dette su come la Gre­cia sia arri­vata a que­sta crisi e su chi ne ha la respon­sa­bi­litá. Una cosa è certa. La ricetta appli­cata dalla troika (Fmi, Ue, Bce) per il risa­na­mento eco­no­mico del Paese ha avuto con­se­guenze simili a quelle di una guerra. E la sen­sa­zione che «stiamo vivendo in con­di­zioni di guerra» e di emer­genza per­ma­nente ce l’hanno (quasi) tutti i greci.



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