Renzi chiude il caso De Gennaro Sì della Camera al reato di tortura

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ROMA Nessun passo indietro. Gianni De Gennaro resterà sulla poltrona di presidente di Finmeccanica, a dispetto degli umori di parte del Pd e nonostante Matteo Orfini ritenga quell’incarico «una vergogna».
Spiazzando chi aveva letto nel suo silenzio di mercoledì l’avvio di una moral suasion governativa per ottenere le dimissioni, Matteo Renzi ha blindato l’uomo che nei giorni tristissimi delle torture alla caserma Diaz guidava le forze di Polizia. «Il governo non ha alcun dubbio sulla qualità e competenza del presidente De Gennaro» ribadisce piena fiducia il premier, ricordando che l’ex capo della Polizia fu confermato dal suo governo dopo l’assoluzione per i fatti del G8.
Le parole di Renzi rendono palese la divisione dei democratici, proprio nelle ore in cui il Parlamento reagisce allo schiaffo di Strasburgo accelerando sull’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura. A 26 anni dalla prima proposta ieri sera la Camera ha fatto un passo avanti approvando il testo con 244 sì, 14 no e l’astensione del M5S. Ma non è finita, perché manca il sì definitivo del Senato.
Era stato il premier, ieri, a chiedere lo sprint sul provvedimento, raccontando di aver assistito «ai pianti di ragazzi del movimento scout che sono stati incomprensibilmente picchiati» e parlando di un suo amico carabiniere, Luca Puliti, che ha rischiato di perdere un occhio: «Una pagina nera nella storia del nostro Paese e se vogliamo affrontarla, la prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura».
E se Renzi chiede ai politici di assumersi la loro parte di responsabilità e riconferma «con grande convinzione» l’incarico di De Gennaro, Orfini resta della sua idea e insiste nel chiedere le dimissioni del prefetto: «Il cambiamento che il Pd sta promuovendo nel Paese non dovrebbe fermarsi di fronte alla porta dei soliti noti». Riflessione destinata a far discutere ancora, visto che a seminare dubbi sulla rottamazione renziana è il presidente del Pd. Su questo tema, delicatissimo per i dem, Orfini sfida il leader e si ritrova in sintonia con Vendola, autore dell’hashtag «cambiaversomai».
A Palazzo Chigi e dintorni la pensano diversamente e lo fa capire, al mattino, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. «De Gennaro è stato indagato e assolto — ricorda Raffaele Cantone prendendo le difese del presidente di Finmeccanica —. L’assoluzione conta pure qualcosa, quindi non può pagare le responsabilità complessive di una macchina intera». La sentenza della Ue, che ha condannato l’Italia per l’irruzione alla Diaz ai tempi del G8 di Genova, continua a bruciare. E Cantone si schiera con le forze dell’ordine: «Non mi piace l’idea che si possa utilizzare questa vicenda bruttissima per tirare sulla polizia».
Il Pd è diviso. Il senatore Massimo Mucchetti accusa Orfini di «estemporaneità e politicismo» e invita il presidente di Finmeccanica a «tenere duro», ricordando che fu Napolitano a volerlo al vertice del primo gruppo industriale italiano e citando «i meriti di De Gennaro nel contrasto alla mafia».
Sulla tortura le forze politiche si azzuffano. La Lega ritiene il provvedimento «l’ennesimo regalo ai criminali» e non lo vota, di rimando il sottosegretario Nencini definisce Salvini «un reazionario della peggior specie». Quanto al merito, scatta l’aggravante se il reato è commesso da pubblici ufficiali, per i quali la detenzione aumenta da 12 a 15 anni. Una modifica del M5S stabilisce la reclusione da uno a sei anni per il pubblico ufficiale che istighi alla tortura un altro pubblico ufficiale.
Monica Guerzoni
Le parole di Renzi rendono palese la divisione dei democratici, proprio nelle ore in cui il Parlamento reagisce allo schiaffo di Strasburgo accelerando sull’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura. A 26 anni dalla prima proposta ieri sera la Camera ha fatto un passo avanti approvando il testo con 244 sì, 14 no e l’astensione del M5S. Ma non è finita, perché manca il sì definitivo del Senato.
Era stato il premier, ieri, a chiedere lo sprint sul provvedimento, raccontando di aver assistito «ai pianti di ragazzi del movimento scout che sono stati incomprensibilmente picchiati» e parlando di un suo amico carabiniere, Luca Puliti, che ha rischiato di perdere un occhio: «Una pagina nera nella storia del nostro Paese e se vogliamo affrontarla, la prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura».
E se Renzi chiede ai politici di assumersi la loro parte di responsabilità e riconferma «con grande convinzione» l’incarico di De Gennaro, Orfini resta della sua idea e insiste nel chiedere le dimissioni del prefetto: «Il cambiamento che il Pd sta promuovendo nel Paese non dovrebbe fermarsi di fronte alla porta dei soliti noti». Riflessione destinata a far discutere ancora, visto che a seminare dubbi sulla rottamazione renziana è il presidente del Pd. Su questo tema, delicatissimo per i dem, Orfini sfida il leader e si ritrova in sintonia con Vendola, autore dell’hashtag «cambiaversomai».
A Palazzo Chigi e dintorni la pensano diversamente e lo fa capire, al mattino, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. «De Gennaro è stato indagato e assolto — ricorda Raffaele Cantone prendendo le difese del presidente di Finmeccanica —. L’assoluzione conta pure qualcosa, quindi non può pagare le responsabilità complessive di una macchina intera». La sentenza della Ue, che ha condannato l’Italia per l’irruzione alla Diaz ai tempi del G8 di Genova, continua a bruciare. E Cantone si schiera con le forze dell’ordine: «Non mi piace l’idea che si possa utilizzare questa vicenda bruttissima per tirare sulla polizia».
Il Pd è diviso. Il senatore Massimo Mucchetti accusa Orfini di «estemporaneità e politicismo» e invita il presidente di Finmeccanica a «tenere duro», ricordando che fu Napolitano a volerlo al vertice del primo gruppo industriale italiano e citando «i meriti di De Gennaro nel contrasto alla mafia».
Sulla tortura le forze politiche si azzuffano. La Lega ritiene il provvedimento «l’ennesimo regalo ai criminali» e non lo vota, di rimando il sottosegretario Nencini definisce Salvini «un reazionario della peggior specie». Quanto al merito, scatta l’aggravante se il reato è commesso da pubblici ufficiali, per i quali la detenzione aumenta da 12 a 15 anni. Una modifica del M5S stabilisce la reclusione da uno a sei anni per il pubblico ufficiale che istighi alla tortura un altro pubblico ufficiale.
Monica Guerzoni
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