La trappola del Parlamento: se Tsipras non trova i voti banche chiuse da mercoledì

La trappola del Parlamento: se Tsipras non trova i voti banche chiuse da mercoledì

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Atene. Alla fine magari la polizia non si presenterà alla Banca di Grecia stamattina per prelevare il governatore Yannis Stournaras e depositarlo trecento passi più in là, in parlamento. Ma il fatto stesso che la presidente dell’aula Zoi Konstantopoulou ieri abbia accennato a un’idea del genere, dà la misura dello sforzo che resta da fare alla Grecia per evitare di finire là dove oggi sembra diretta: verso un mondo senza contante. Se non ci sarà accordo con il resto d’Europa entro tre giorni, da mercoledì questa nazione di 11 milioni di persone resterà senza banche o distributori di cassa in funzione.

Non lo si direbbe dalla calma che regna per le strade, o dal piglio di Zoi Konstantopoulou. La presidente del parlamento, a 39 anni, in questi mesi si è imposta come la leader dell’ala intransigente di Syriza, il partito della sinistra radicale al governo. È una donna giovane che in Grecia ha imparato la politica come arte dell’intimidazione. In questi giorni cerca di costringere Stournaras a presentarsi in parlamento a spiegare perché la banca centrale abbia definito «probabile» l’uscita dall’euro, nell’ipotesi che non ci sia un accordo con i creditori. Il governatore non intende andare, geloso della sua indipendenza, asserragliato della Banca di Grecia per tenere i contatti con Bruxelles o Francoforte e misurare il crollo dei depositi nelle banche: nell’ultima settimana il volume dei conti è sceso sotto i 130 miliardi di euro, contro i 250 di prima della crisi e i 173 dei momenti migliori del 2014. Per questo Zoi Konstantopoulou ha velatamente minacciato mandare a prendere Stournaras con le forze dell’ordine, per qualche ora nei palazzi di Atene non si è parlato d’altro e a lei per il momento basta.
Ma il ruolo della presidente del parlamento sarà ancora più rilevante tra qualche ora: subito dopo che, come sembra ancora possibile, venerdì o sabato la Grecia e i suoi creditori raggiungeranno un accordo su un programma di tasse e tagli di spesa in cambio di un nuovo esborso. Il tempo stringe. Martedì prossimo entro la mattinata il governo deve saldare una rata da 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale e, senza nuovi aiuti, finirebbe di fatto in insolvenza; la Banca centrale europea si troverebbe costretta a proteggersi limitando i continui finanziamenti di emergenza alle banche greche, finora effettuati per tenere aperti gli sportelli malgrado l’emorragia dei depositi. Per gli istituti a quel punto verrebbe decretata una «vacanza», come accadde in America nel 1933 o a Cipro nel 2013. Ma in America le banche riaprirono dopo qualche giorno, quando Franklin Delano Roosevelt annunciò una garanzia dello Stato sui depositi; e a Cipro lo fecero non appena arrivò un pacchetto di aiuti dall’Europa. Ma per la Grecia, senza accordo, non sarebbero disponibili né l’una né l’altra opzione.
Di qui il ruolo vitale di Konstantopoulou e della sinistra più radicale al governo. Se venerdì o sabato a Bruxelles si arriva a un «compromesso ragionevole e doloroso», come già prevede il ministro delle Riforme Giorgos Katrougalos, allora domenica il parlamento greco dovrà votarlo. La posizione della presidente dell’aula sarà decisiva per capire se la maggioranza del premier Alexis Tsipras terrà o se invece il suo modello «anti-sistema», il primo al potere in Europa, è già al tramonto. Il premier potrebbe aver bisogno dei voti dell’opposizione. Molto dipenderà dal merito del compromesso che si sta cercando a Bruxelles.
Se poi il piano passa nel parlamento di Atene domenica, lunedì lo voteranno anche i parlamenti dei creditori più riluttanti: Berlino, l’Aia, Helsinki, Bratislava e Tallinn. Quindi l’esborso europeo, appena in tempo per evitare il default martedì. A patto naturalmente che tutto vada per il meglio, in una vicenda in cui tutto per ora è andato nel peggiore dei modi possibili.
Federico Fubini


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