Russia,Usa ed Europa prove di guerra per strappare la Siria allo Stato islamico

Russia,Usa ed Europa prove di guerra per strappare la Siria allo Stato islamico

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Washington lancia l’allarme: i ribelli che combattono contro i jihadisti stanno collezionando una sconfitta dopo l’altra. Così si moltiplicano i progetti per una inedita alleanza militare: Parigi ha già mandato in avanscoperta i suoi caccia, Londra ipotizza un intervento. Il dilemma-Putin: pronto ad agire, ma troppo vicino ad Assad
C’È UN ALTRO DISASTRO in Siria. Oltre a quello umanitario, c’è la débacle dei ribelli che avrebbero dovuto prima combattere Assad, adesso contrastare lo Stato Islamico. L’America li addestra da un anno e ammette: con risultati pessimi. La Russia di fatto si candida a intervenire militarmente in modo diretto. Francia, Inghilterra e Canada riesaminano anche loro il profilo delle rispettive partecipazioni alla coalizione anti- Is. La crisi dei rifugiati rimette in movimento un Grande Gioco anche sullo scacchiere militare nell’area.
L’allarme Usa sui ribelli. Lo ha rivelato il New York Times : la Casa Bianca e il Pentagono sono preoccupati per «la pesante indaguatezza» dei ribelli che dovrebbero sul campo combattere l’avanzata jihadista in Siria. È significativo un episodio recente, rivelato da alti dirigenti dell’Amministrazione Obama: un gruppo di 54 combattenti addestrati dagli americani sono stati sbaragliati dalla fazione Al Nusra (affiliata con Al Qaeda). La Voice of America cita l’ex ambasciatore James Jeffrey: «Questo programma di addestramento ci sta costando mezzo miliardo di dollari, dovremmo avere formato 5.000 combattenti, non 50». Per di più incompetenti: l’analisi del Pentagono sostiene che il reparto filo-Usa non aveva appoggi sul terreno tra la popolazione locale, e ha lanciato la sua offensiva durante una festività religiosa in cui altre reclute erano assenti.
La vicenda mette in luce i limiti dell’azione americana: i raid dal cielo che durano da un anno sembrano abbastanza efficaci (ancora nello scorso weekend la coalizione guidata dagli Usa ne ha lanciati 11 contro le postazioni dell’Is), ma non spostano i rapporti di forze sul terreno.
Obama-Putin, il duetto si ripete. Washington osserva con inquietudine quelli che sembrano i preparativi di un intervento militare russo in Siria, ovviamente a sostegno del vecchio alleato di Mosca, Assad. L’America ha chiesto alla Grecia di negare il sorvolo del suo territorio agli aerei russi che trasportano forniture militari in Siria. Il portavoce di Obama, Josh Earnest, ha dichiarato che «qualsiasi sostegno al regime di Assad è destabilizzante e controproducente ».
Si ripete il confronto Obama- Putin sulla Siria. All’inizio di settembre del 2013, il presidente americano fu quasi sul punto di lanciare un bombardamento contro Assad per punirlo per i massacri di civili con le armi chimiche. Obama era riluttante, voleva chiedere un voto al Congresso che probabilmente lo avrebbe bocciato, quando al G20 di San Pietroburgo spuntò la proposta Putin di una situazione diplomatica (ritiro controllato delle armi chimiche). Che forse salvò Assad.
Riflettori sulla strategia russa. Putin continua a ribadire che Assad va aiutato, il vero nemico da battere è lo Stato Islamico. «Dobbiamo creare una vera coalizione internazionale contro il terrorismo e l’estremismo », ha dichiarato il presidente russo. Poiché quella coalizione esiste già, queste parole si possono interpretare come un’auto-candidatura della Russia ad unirsi agli Stati Uniti. «Stiamo consultando gli americani, ho parlato personalmente con Obama», ha detto Putin. Ma l’ingresso della Russia non sarebbe indolore, sposterebbe gli equilibri della coalizione an- ti-Is rischiando di trasformarla in una coalizione pro-Assad.
La Russia è l’unica potenza straniera ad avere tuttora una base militare in Siria, i suoi rapporti con Damasco sono antichi e solidi. Putin non nasconde di «fornire importanti aiuti militari alla Siria», anche se finora non ha confermato l’azione diretta di reparti militari russi sul terreno. Offrendo i suoi servizi alla coalizione guidata dall’America, Putin può inseguire diversi obiettivi: ottenere un allentamento delle sanzioni per l’Ucraina, uscire dall’isolamento, al tempo stesso dimostare che è stata la Russia a capire per prima la vera minaccia islamica. Dalla guerra in Afghanistan negli anni Settanta fino a quella in Cecenia, per concludere con l’appoggio ad Assad, per Putin c’è un filo rosso che tiene unite le sue crociate contro il fondamentalismo.
Francia, Inghilterra e Canada. Tutto il fronte occidentale della coalizione anti-Issi rimette in movimento per lo shock umanitario e politico dei profughi. Ieri i caccia Rafale dell’aviazione francese hanno effettuato missioni di ricognizione sulla Siria «in preparazione per attacchi contro lo Stato Islamico», secondo l’annuncio del presidente François Hollande. I raid offensivi saranno affidati ai Mirage 2000 di base in Giordania.
La Francia era stata la prima nazione occidentale a unirsi alla coalizione guidata da Obama, ma finora si era limitata a raid aerei sull’Iraq. La svolta e l’allargamento alla Siria è giustificata così da Hollande: «È dalla Siria che vengono organizzati attacchi terroristici contro di noi». La frase allude al ritorno in Europa di terroristi addestrati dai jihadisti. A Londra il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha invocato la necessità di «affrontare il dramma dei profughi alla sua origine ».
Memore del disastro politico del 2013 quando il Parlamento inglese bocciò l’intervento militare, stavolta il premier David Cameron vuole un accordo con l’opposizione laburista. In Canada resta forte l’emozione per la tragica morte di Alan Kurdi, il bambino di tre anni morto annegato durante la traversata del Mediterraneo. Ai suoi era stato negato il visto canadese, malgrado che dei parenti residenti in Canada avessero offerto garanzie economiche. Il leader conservatore Stephen Harper si è difeso dalle accuse: «Non si può rifiutare l’intervento militare. Milioni di persone sono massacrate dallo Stato Islamico. Bisogna fare di più per affrontare le cause, e noi faremo di più».
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