Legge di stabilità: il precedente spagnolo e i dubbi di Berlino

Legge di stabilità: il precedente spagnolo e i dubbi di Berlino

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A metterli insieme, i regolamenti, le direttive e le pagine dei trattati europei su come si risana un bilancio fanno un volume spesso come un romanzo giallo del secolo scorso .
Non meno di centocinquanta pagine, anche se in questo caso l’epilogo è molto meno scontato. Nel fiscal compact sul controllo dei conti pubblici, i presunti colpevoli di solito la fanno franca e i detective si rivelano tutt’altro che infallibili. Se ne è avuta conferma martedì scorso sul quadrilatero fra Madrid, Strasburgo, Lussemburgo e Berlino. Ciò che è successo quel giorno fra le quattro capitali, con la legge di Stabilità della Spagna in gioco, è diventato un precedente al quale l’Italia probabilmente si appellerà quando la sua manovra sarà sul tavolo a Bruxelles. In seduta a Strasburgo, la Commissione europea si preparava a respingere la bozza di manovra di Madrid: grazie al fiscal compact ne ha il potere e voleva usarlo, perché non trova realistico il piano spagnolo di riduzione del deficit per quest’anno o per il prossimo. Poi nel giro di poche ore è cambiato tutto. Dalla Spagna sono partite telefonate verso Bruxelles e la Germania. Da Lussemburgo, dove si trovava per l’Eurogruppo, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha avuto parole di elogio per il lavoro del suo collega iberico Luis de Guindos. A un quarto d’ora dall’inizio della riunione della Commissione a Strasburgo, la procedura si è bloccata. In Spagna si vota per le politiche tra due mesi e il premier Mariano Rajoy, del Partido popular, è un prezioso alleato in Europa per la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Niente di tutto questo garantisce che la stessa trama si replicherà tra poche settimane, quando verrà il turno della legge di Stabilità italiana. Qualunque sia l’atteggiamento della Commissione europea — dove le perplessità sono diffuse — a Berlino si è radicata una convinzione: il fiscal compact sta funzionando male, va superato, ma questa non è una ragione per concedere all’Italia un giro di pista fra gli applausi. È difficile prevedere l’esito finale del percorso della legge di Stabilità italiana in Europa, ma a Berlino si vuole evitare che sia comodo. Si ritiene che già solo un bel po’ di attrito politico, se non proprio una formale procedura europea, aprirà su questo caso una vera discussione in Italia e nell’area euro.
Prima ancora che la manovra del governo di Matteo Renzi venga varata questa settimana, fra la Commissione europea e la capitale tedesca sono già circolate le prime stime sul suo impatto. Rispetto ai piani preesistenti, secondo Bruxelles c’è un aumento dell’1% del deficit «strutturale»: quello stimato (chissà con quanta precisione) al netto delle fluttuazioni temporanee dell’economia. Soprattutto, restano dubbi evidenti riguardo ai piani per i prossimi anni. Gli addetti ai lavori in Germania si sono convinti che l’Italia non abbia davvero l’intenzione, dichiarata nei documenti ufficiali, di andare verso il pareggio di bilancio nel 2018 come prevede il fiscal compact . Si sospetta che il governo miri piuttosto a continuare con un deficit fra il 2% e il 3% del reddito nazionale (Pil) per vari anni. In Italia si pensa che ciò basti a far scendere il debito pubblico, passo dopo passo. In Germania si teme che il risultato sia diverso: un debito pubblico di Roma che può salire verso il 150% del Pil, se prosegue la traiettoria degli ultimi vent’anni di un’economia cronicamente debole.
Qualunque sia il parere della Commissione in proposito, non è difficile prevedere il seguito: la richiesta di nuova «flessibilità» da parte di Roma produrrà tensioni fra i ministri finanziari europei. Schäuble ammira molto Pier Carlo Padoan, trova che il collega italiano sia una delle menti economiche più brillanti nell’Eurogruppo. Ma il ministro tedesco inizia a sospettare che il bilancio si faccia più a Palazzo Chigi che nell’ufficio del responsabile dell’Economia.
Non che il fiscal compact , la cornice di regole fissata nel 2012 in risposta alla crisi dell’euro, sia in crisi solo in Italia o in Spagna. La Francia viaggia da sette anni con un deficit sopra al 3% del Pil, eppure non è mai stata sanzionata, e ai suoi piani ufficiali di rientro nel 2017 non crede nessuno: quell’anno si elegge il prossimo presidente della Repubblica, il momento peggiore per una stretta di bilancio. Il risultato è che Francia, Italia e Spagna, cioè metà dell’economia dell’area euro, di fatto stanno aggirando o ignorando le regole. Il fiscal compact , la cornice che deve tenere 19 Paesi in una sola moneta, è nato morto. In Germania lo si vorrebbe superare con nuove proposte. Un’idea è di mettere i fondi strutturali europei al servizio delle riforme di cui ciascun Paese ha più bisogno, in base alle raccomandazioni di Bruxelles. E certo rimane la pressione a ridurre il deficit, per poter resistere a eventuali choc.
Ma c’è profonda disillusione a Berlino sul fatto che nuove regole, o nuove sanzioni, possano funzionare dove per 15 anni di unione monetaria hanno fallito. L’idea di fondo è dunque di proteggersi dai rischi di un’altra possibile crisi di debito in Europa del Sud in modo diverso: prevedendo sistemi legali per imporre perdite sui titoli di Stato agli investitori privati. Così le obbligazioni pubbliche potrebbero contenere per legge clausole automatiche di riduzione del valore dei titoli, in caso di stress finanziario. Si potrebbero creare vere procedure fallimentari per gli Stati dell’area euro. E i governi che chiedono aiuto al fondo salvataggi (Esm), dovrebbero smettere di rimborsare i loro titoli di debito, per esempio, per tre anni.
Visto da Berlino, è un modo di tagliare un cordone ombelicale e contenere le richieste di «solidarietà» dai Paesi che non riescono più a gestire il debito. Visto dall’Italia, dati i rischi per gli investitori, sarebbe solo un modo di alzare gli interessi sul debito stesso. Il fiscal compact , al confronto, sembra una passeggiata.
Federico Fubini


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