Dal tribunale primo sì alla stepchild incrociata
ROMA Il tribunale per i minori di Roma ha riconosciuto un’altra adozione in casi particolari. Anzi: altre due adozioni. Perché Melita Cavallo, la presidente, prima di andare in pensione alla fine di dicembre dello scorso anno, ha emesso cinque sentenze su «ricorsi congiunti o incrociati » di cui si saprà nei prossimi mesi, e di cui quello pubblicato ieri è il primo. Ha cioè riconosciuto, «l’adozione a due donne che vivono insieme e che, in un progetto comune e condiviso, hanno ognuna messo al mondo una bambina con la fecondazione assistita realizzata in Danimarca: l’una adotta la figlia dell’altra» spiega la ex presidente. «Ho soltanto applicato la legge. Le due bimbe vivono come sorelle, sono bene integrate a scuola, dove le due donne sono apprezzate: per accogliere il ricorso, infatti, valutiamo situazione scolastica, capacità sociali, responsabilità educative delle due mamme, e la rete in cui i minori crescono».
E così da ieri le due bambine, di 4 e 8 anni, avranno il doppio cognome, anche se, trattandosi di un’adozione in casi particolari e non di un’adozione piena, non saranno considerate sorelle e non avranno legami di parentela con i nonni o con gli zii. Un riconoscimento importante e anche dal forte valore simbolico, spiega Francesca Quarato, l’avvocata che ha seguito il doppio ricorso, perché valorizza «l’intreccio dei rapporti genitoriali e dei legami familiari biologici e sociali con un riconoscimento giuridico».
Subito sono esplose le polemiche con il capogruppo della Lega Nord a Montecitorio, Massimiliano Fedriga, che ha scritto alla presidente della Camera Laura Boldrini sostenendo che «non può essere un tribunale a decidere, è la politica che deve garantire il diritto di crescere all’interno di una famiglia naturale».
«Sapevamo bene che la legge sulle unioni civili non è che un cavallo di Troia per consentire ai tribunali di decidere su questioni delicatissime al posto della politica », ha detto invece Giorgia Meloni, leader dei Fratelli d’Italia.
Intanto arriva la notizia che il sostituto procuratore generale, ha fatto ricorso in Cassazione per la prima sentenza del tribunale per i minori di Roma, quella del luglio 2014 confermata a dicembre 2015 in appello, che riconosceva l’adozione alla compagna della madre biologica: «Meglio così» chiosa Melita Cavallo. «La Cassazione risolverà tutto. Perché la sentenza avrà un valore di orientamento per i tribunali: darà la giusta visione delle cose». Anche perché, spiega Sara Menichetti, che insieme alla socia Titti Carrano ha seguito il secondo caso italiano di adozione riconosciuta alla mamma non biologica, ora in Appello, «abbiamo una legge del 1983 che ha previsto all’articolo 44 lettera d) questa possibilità: la presidente Cavallo è prima di tutto una giudice con l’obbligo giuridico di applicare la legge. Non è perciò né una rivoluzionaria né una sovversiva, come è stata definita dal tribunale di Torino, ma un ottimo magistrato che ha applicato la legge per garantire e tutelare dei minori che altrimenti, in Italia, non sarebbero stati né garantiti né tutelati. E, dalle convenzioni internazionali alle nostre leggi, l’unica ratio che dovrebbe guidare un magistrato — ma soprattutto il legislatore — è “l’interesse superiore del minore”».
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