La Cina si rassegna “Il 2016 sarà duro” Pil tagliato al 6,5% il deficit sale al 3%

La Cina si rassegna “Il 2016 sarà duro” Pil tagliato al 6,5% il deficit sale al 3%

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PECHINO L’obiettivo è la crescita, ma l’era del boom è terminata: anche la Cina «deve affrontare problemi più gravi e sfide più difficili». Lo slogan del premier Li Keqiang è «nuova normalità », il fine «costruire una società moderatamente prospera». Nella sala che ospita i 3 mila delegati dell’Assemblea nazionale del popolo, affacciata su piazza Tiananmen, i toni non sono più quelli della doppia cifra. La seconda economia del mondo ufficializza i target 2016 e il piano quinquennale di sviluppo fino al 2020: l’avviso al business globale è che Pechino «non sarà più la locomotiva capace di tirare tutti ». Confermati gli annunci del Plenum di ottobre per il 2016, a cui si aggiungono i dieci punti del programma economico, teso a trasformare la Cina da una super- potenza fondata su produzioni low-cost ed export, in una «sostenibile e alimentata da terziario e consumi interni». La leadership rossa fissa «almeno al 6,5%» la crescita annua, rispetto al 6,9 del 2015, già dato più basso da un quarto di secolo. Nel 2015 il partito-Stato aveva posto il traguardo al 7%: per i mercati, allarmati da prospettive a picco fino al 5%, significa che la Cina entro dicembre crescerà realisticamente tra il 6,4 e il 7%, impegnandosi però «a non scendere sotto il 6,5% fino al 2020». Rispetto al 2010 il Pil risulterà così raddoppiato e il reddito pro capite crescerà in media del 6,5% all’anno, in flessione dal 7,4% dell’anno scorso. La spinta saranno accelerazione delle riforme, aumento della produttività e sostegno ai salari, più un nuovo imput all’urbanizzazione. Li Keqiang, aprendo le cosiddette “due sessioni” del parlamento cinese, assicura anche che l’inflazione resterà sotto il 3%, stessa quota del rapporto deficit-Pil. L’ingrossarsi del debito, assieme allo scoppio della bolla finanziaria, aveva fatto suonare l’allarme e gli analisti stranieri si erano spinti a prevedere lo sfondamento del 4% per reggere l’urto della «grande ristrutturazione ». Per Pechino fermarsi al 3%, dal 2,3% del 2015, significa comunque accumulare debiti per 330 miliardi di dollari, la massa più alta dal 1979. Una crescita pari a un quarto di quella mondiale, nel 2016 permetterà alla Cina di creare 10 milioni di nuovi posti di lavoro, ma questa volta anche i costi di annunciano alti. L’impegno del presidente Xi Jinping è chiudere i colossi di Stato improduttivi, tagliare la sovra-produzione industriale e quella di materie prima, dall’acciaio al carbone. Il sacrificio è di 6 milioni di posti di lavoro, 1,8 in miniere e fonderie, e il governo promette di stanziare 15 miliardi di dollari per la ricollocazione dei lavoratori. A un «2016 difficile per il quale bisogna prepararsi a combattere una battaglia complicata», corrisponde però un tredicesimo piano quinquennale segnato da ottimismo e «obbiettivi ambiziosi ». Tra i dieci punti, la crescita dei servizi al 56% del Pil, rispetto al 50,5% del 2015, e il 60% di popolazione residente nelle città, rispetto al 56,1% attuale. Per renderlo possibile, l’impegno è allargare l’”hukou” (sorta di permesso di residenza ndr) al 45% della popolazione, integrando oltre 300 milioni di migranti interni. Cruciali gli obbiettivi energetici, chiara la svolta verde: meno 15% di consumi e meno 18% di emissioni per unità di Pil, più 58 gigawatt di potenza atomica e almeno 80% di giorni con una «buona qualità dell’aria». Tra le infrastrutture, annunciati 50 nuovi aeroporti e 30 mila chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità, rispetto ai 19 mila attuali. In calo solo la spesa militare: nel 2016 crescerà del 7,6%, dal 10,1% 2015. E’ l’incremento più contenuto da sei anni, causa crisi e tagli di soldati, per un budget da 146 miliardi, un quarto di quello Usa.



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