Colpo di stato militare in Turchia

Colpo di stato militare in Turchia

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In Turchia carri armati nelle strade. I militari: «Abbiamo preso il potere». Bloccati i ponti sul Bosforo e l’aeroporto di Istanbul, black out sui social, irruzione di soldati nella tv di stato. Scontri tra polizia ed esercito che spara sulla folla anche ad Ankara. Il presidente Erdogan con un cellulare chiama alla resistenza la popolazione. Almeno 90 morti. All’alba il colpo di stato è sventato, arrestati migliaia di militari 

Legge marziale, coprifuoco e una nuova costituzione nella quale saranno ripristinate «democrazia e laicità, che sono state erose»: sono le prime «misure» prese dai militari, che ieri notte hanno effettuato un colpo di stato in Turchia.

Un comunicato dei golpisti delle 23.30 circa annunciava la presa del potere «per ristabilire la democrazia e la libertà» nel paese.

Ancora una volta l’esercito, che apparirebbe più compatto di quanto Erdogan e il governo hanno tentato di far credere, è protagonista di un colpo di stato «novecentesco» nella Turchia di oggi, paese Nato e importantissimo attore geopolitico dell’area europea e medio orientale. Erdogan ha annunciato un discorso, poco dopo la diffusione di rumors che lo davano ora al sicuro, ora agli arresti. È infine comparso in un video on line – via Facetime – in diretta con laCnn turca, invitando la popolazione a difendere il paese dal colpo di stato in atto.

«Sono ancora il presidente della Turchia ed il Commander in chief: resistete al colpo di stato nelle piazze e negli aeroporti».

Poco dopo il suo discorso telefonico si è diffusa la voce – da parte di agenzie russe – secondo la quale Erdogan sarebbe in fuga verso un paese estero. Un’agenzia americana ha indicato come potenziale approdo la Germania, che avrebbe rifiutato. Sempre le stesse fonti Usa non confermate dopo il no tedesco Erdogan sarebbe in volo verso Londra e dopo il no di Londra verso il Qatar. Secondo altre fonti, invece, il presidente sarebbe ancora nel paese.

Le prime reazioni sono arrivate da Russia e Usa. «È necessario evitare bagni di sangue in Turchia» ha detto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che ha aggiunto che «i problemi della Turchia devono essere risolti in modo costituzionale».

Stesso concetto di John Kerry che si è augurato «stabilità e pace» in Turchia. Un doppio via libera al colpo di stato, in apparenza. Il tempismo a volte è un caso, a volte è a orologeria: Kerry casualmente a Mosca, due giorni dopo un incontro con Putin durante il quale si è parlato di Siria (area nella quale la Turchia ha ovviamente una sua grande rilevanza) e Ucraina e chissà che altro.

A Erdogan – responsabile di una svolta islamista con conseguente riduzione dei poteri dell’esercito «componente» laica del paese – per comunicare con la sua popolazione, era rimasta solo la rete anche perché i golpisti hanno spento la televisione pubblica Trt e ne hanno occupato gli uffici (verso mezzanotte sono stati segnalati spari ed esplosioni) così come hanno fatto irruzione nelle sedi del partito proprio di Erdogan.

Nel frattempo in diverse città turche sono stati denunciati colpi di arma da fuoco, mentre gli aeroporti di Istanbul venivano chiusi e F16 dell’esercito veleggiavano sulle città più importanti del paese.

Troppo confuse le notizie per capire a pieno gli eventi: se l’esercito sia compatto, nella serata si è diffusa la notizia dell’arresto del capo di stato maggiore, Hulusi Akar, un fedelissimo di Erdogan, se dietro il gesto dei militari possano esserci rivali politici di Erdogan, come il suo ex alleato, l’islamista Gulen.

Tutto è cominciato alle 22 di ieri quando hanno preso a circolare notizie sulla Turchia: inizialmente si diceva di colpi d’arma da fuoco ad Ankara e F16 sulla capitale turca. Scossi ancora da quanto accaduto a Nizza, si è cominciato subito a pensare a un eventuale, nuovo, attacco di natura terroristica.

Ma pochi minuti dopo la notizia ha cominciato a prendere forme diverse: il premier stesso – Binali Yildirim – avrebbe denunciato un tentativo di colpo di stato commesso da un gruppo all’interno dell’esercito. Poche ore dopo la conferma arrivava dal capo delle forze armate: «è in atto un colpo di stato in tutto il paese».

Le prime testimonianze dalla Turchia raccontavano dell’esercito alle prese con perquisizioni e azioni per disarmare la polizia. Di ponti sul Bosforo bloccati ed elicotteri pronti ad attaccare gli uffici dei servizi segreti. Tutto questo nella Turchia di Erdogan, paese Nato. Come nel 1980 quando il colpo di stato fu guidato dal generale Evren.

Mentre scriviamo, via Periscope, aggirando il blocco, qualcuno è riuscito a «postare» un video nel quale appaiono molte persone scese in piazza a Istanbul.

Analogamente un video mostrava persone su un ponte sul Bosforo e improvvisi colpi d’arma da fuoco. Si parla di guerra civile già in corso. In nottata lady pesc Federica Mogherini invita alla «moderazione».

Quando ancora si susseguono le notizie, compreso lo spegnimento della televisione di stato, le immagini che arrivano dalla Turchia assumono toni surreali.

Non solo è un colpo di stato in un paese Nato, ma è un colpo di stato nell’epoca dei social network. Immagini dagli aeroporti, tweet di politici e uffici governativi. Messaggi ai giornalisti dei presunti generali golpisti. Tutto giocato sul filo della propaganda, perché quanto emergeva dalle immagini non aiutava a capire cosa realmente stesse succedendo.

Alcuni media hanno riportato fonti governative secondo le quali il colpo di stato dei militari non sarebbe stato appoggiato da tutti i vertici dell’esercito. Di sicuro una dimostrazione più plastica della complessità attuale della Turchia non poteva arrivare se non in questo modo.

Al momento nessuna reazione dal resto del mondo: tutti in attesa di capire cosa è realmente successo. E cosa succederà da qui a poco.

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