Proactiva: «Sequestrati da una motovedetta libica»
Fermati in mare, minacciati con le armi e costretti a dirigersi verso Tripoli. Salvo poi essere lasciati liberi di andare via prima di arrivare nel porto libico, non senza ricevere l’ennesimo avvertimento a non tornare, «altrimenti vi ammazziamo». A raccontare la disavventura sono i volontari della Ong spagnola Proactiva open arms bloccati martedì scorso, giorno di Ferragosto, da una motovedetta della Guardia costiera libica mentre si trovavano in acque internazionali. L’episodio è l’ultimo contro una Ong impegnata nel Mediterraneo centrale, testimonianza di un’escalation che ha visto come protagonisti i militari libici che dipendono dal governo di Tripoli. L’8 agosto ci sono stati gli spari contro la nave Open Arms sempre di Proactiva, seguiti il 13 agosto dall’invito alle Ong a non operare nella futura zona Sar (search and rescue) libica, acque internazionali che però i libici, come ai tempi di Gheddafi, hanno deciso di considerare proprie acque territoriali. Martedì, infine, l’episodio forse più grave con il «tentativo di sequestro», come denuncia Proactiva, della nave Golfo Azzurro a bordo della quale si trova anche una deputata spagnola. Fatto non confermato dalla Marina libica, che ieri comunque ha accusato le Ong che voler fare della Libia «una porta di ingresso legale per gli illegali che attraversano i nostri confini sotto la copertura di ’migranti’ e senza alcun controllo».
L’episodio che ha coinvolto la Golfo Azzurro è avvenuto martedì pomeriggio verso le 17 ed è durato circa due ore. «Ci trovavamo a 27-29 miglia dalle coste libiche», spiega Riccardo Gatti, capo missione della Golfo Azzurro. «Ci stavamo allenando come facciamo sempre quando non siamo impegnati nei soccorsi e abbiamo visto avvicinarsi una motovedetta libica che prima si è diretta verso la C-Star di Defend Europe, dove è rimasta qualche minuto, poi è venuta verso di noi». Stando al racconto della Ong spagnola (tra le cinque che hanno firmato il Codice di comportamento del Viminale), i libici avrebbero chiesto di vedere l’autorizzazione a navigare in zona. «Abbiamo risposto che ci trovavamo in acque internazionali e quindi non avevamo bisogno di nessuna autorizzazione», prosegue Gatti.
Il botta e risposta tra i militari libici e l’equipaggio spagnolo va avanti a lungo, con i primi, «che minacciano sempre di spararci se non facciamo quello che ci chiedono», continua ancora Gatti. A un certo punto dalla motovedetta arriva l’ordine alla Golfo Azzurro di dirigersi verso Tripoli. «Ci rifiutiamo poi, dopo l’ennesima minaccia di aprire il fuoco obbediamo». I libici chiedono anche alla nave di calare una scaletta in modo da poter salire a bordo. «Gli diciamo di no, spiegando che quello che stanno facendo è illegale».
Un rifiuto che forse è valso alla Golfo Azzurro la possibilità di rimanere libera. «Dopo quasi 15 minuti di silenzio radio – prosegue infatti Gatti – i libici ci hanno detto di andare via e di non tornare più altrimenti ci ammazzano».
La motovedetta segue quindi la Golfo Azzurro per alcune miglia «e con lei anche la C-Star di Defend Europe», precisa il capo missione. Ieri sera la Golfo Azzurro trovava a nord di Tripoli, e dirigeva verso Sud-Est con l’intenzione di non cedere alle pressioni libiche. «Noi non andiamo via – spiega infatti Gatti – e se riceveremo un richiesta di soccorso interverremo come sempre ma questa volta chiederemo la protezione armata di una nave militare».
Ieri sera un comunicato della Guardia costiera libica ha negato di aver proibito alle navi delle Ong – e in particolare quelle che hanno deciso di sospendere l’attività per motivi di sicurezza – di operare nella zona Sar. «Non abbiamo dichiarato alcuna zona proibita, né abbiamo impedito ad entità o organizzazioni di effettuare operazioni di ricerca e salvataggio chiare e trasparenti», spiega una nota. Poco prima, però, un comunicato della Marina libica aveva di fatto accusato le Ong di utilizzare la Libia come «una porta di ingresso» attraverso la quale far transitare l’immigrazione illegale verso l’Europa.
FONTE: Leo Lancari, IL MANIFESTO
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