La pensione «non la vedremo mai»? Come ti abolisco la riforma Fornero

La pensione «non la vedremo mai»? Come ti abolisco la riforma Fornero

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«Tanto noi la pensione non la vedremo mai». Prima o poi tutti coloro che in Italia hanno tra i 20 e i 50 anni avranno pronunciato, o ascoltato, questa frase. Precari oggi, lavoratori poveri fino alla fine. È l’esito estremo di un sistema, perfezionato dalla «riforma» Fornero che ha radicalizzato la logica del sistema contributivo: permetterà di tenere in ordine i conti previdenziali, ma obbligherà a lavorare precariamente per tutta la vita, pagando una previdenza complementare con soldi che i precari non possono avere. Noi oggi non li vogliamo vedere, e nemmeno la politica, ma i costi sociali saranno immensi.

Massimo Franchi ha scritto L’inganno delle pensioni (Imprimatur, pp. 118, euro 14) per dimostrare che la frase fatale è proprio quello che il sistema capitalistico – l’Europa dell’austerità, i mercati, le assicurazioni private, le imprese – vogliono sentirci dire. Questo è un libro prezioso perché, oltre a spiegare i vicoli ciechi del contributivo, e le conseguenze sulla vita delle persone, è carico di un’energia etico-politica utile alla soggettività vulnerabile, indebitata e cinica del lavoratore contemporaneo per modificare il corso di un destino che è ancora aperto alle alternative.

«BISOGNA RIBALTARE il paradigma dell’austerità e tornare a considerare il sistema previdenziale come redistributivo» sostiene Franchi. Non solo «abolire la riforma Fornero», ma considerare i risparmi già ottenuti, così come quelli futuri, come base finanziaria per rivedere il sistema, ristabilendo una giustizia sociale intergenerazionale. Una tesi controcorrente che non coincide con quanto il governo Lega-Cinque Stelle intende fare con la cosiddetta «quota 100»: la somma di età anagrafica e anni di contributi versati, limitata solo a chi ha più di 64 anni (o 62 come si sente dire in questi giorni), e la possibilità di andare in pensione, a prescindere dall’età, con 41 anni e mezzo di contributi. Questa non è la «cancellazione della Fornero», sostiene Franchi, perché favorisce una piccola parte delle persone che hanno subìto la riforma e non risolve i problemi degli under 50 catturati nelle maglie della società della piena occupazione precaria. La cosiddetta «Quota 100» resta nell’ottica dell’austerità: a parere di Franchi favorirà i lavoratori – in massima parte uomini – mantenendo il meccanismo di adeguamento all’età pensionabile.
Il ribaltamento del sistema contributivo può essere raggiunto anche attraverso soluzioni intermedie: la «pensione di garanzia», una proposta dell’economista Michele Raitano ripresa e articolata nel libro, e il «reddito minimo dignitoso». La prima garantirebbe un’integrazione statale per ogni anno in cui i contributi sono sotto una soglia minima. Al termine della carriera lavorativa, questo assegno potrebbe essere erogato in relazione all’età e agli anni di attività. Una misura redistributiva che aiuterebbe i precari: 650 euro per chi ha 30 anni di attività intermittente, 930 con 66 anni e 42 di attività. Il «reddito minimo» prospettato da Franchi sarebbe finanziato con 4 miliardi. I soldi ci sono: gli 88 miliardi di risparmi generati fino ad oggi dalla riforma Fornero. Si potrebbe andare ancora più lontano, ma di meno non è possibile fare.

CHE QUALCOSA NON FUNZIONI in questo sistema lo sanno tutti: non basta lavorare una vita per avere un reddito e una pensione dignitosa. Questa verità elementare del capitalismo contemporaneo è entrata anche nel dibattito governativo sulla cosiddetta «pensione di cittadinanza»: portare le pensioni minime di circa 4,5 milioni di persone a 780 euro.
I problemi che oggi vengono lentamente al pettine sono nati all’indomani della riforma Dini del 1995. Le soluzioni adottate nel frattempo sono state inadeguate. Per non parlare delle ingiustizie, in attesa delle prossime. Ad esempio, la vicenda allucinante degli esodati prodotti dalla Fornero, oppure quella dell’«Opzione donna», una norma risalente alla riforma leghista del 2004 al tempo dello «scalone», concede alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo a patto di accettare un assegno calcolato interamente sul sistema contributivo.

BISOGNA DIRE LA VERITÀ contro l’inganno delle pensioni, ma a condizione di ricordare che «la vita non è fatta di solo lavoro – scrive Franchi – Non è che appena nasciamo iniziamo a lavorare. Il lavoro è solo una parte – seppur importante – della vita». È un ragionamento logico, e scontato, che però oggi nessuno fa. Anzi la prospettiva è quella opposta: lavorare di più, e a lungo, precariamente, e sempre con meno contributi, tutele, garanzie. La pensione «non la vedremo mai» se prima non avremo liberato la vita dal giogo di questo lavoro senza fine.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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