Primarie in Argentina, al centro il tema della riforma del lavoro
BUENOS AIRES. Alle primarie di domani l’Argentina non sceglierà i candidati che disputeranno le presidenziali del 27 ottobre, perché i dieci partiti in corsa porteranno ciascuno una sola proposta. Allora perché andare a votare? Oltre che essere obbligatorie, le primarie serviranno alle due liste principali, quella del presidente Mauricio Macri e dell’oppositore Alberto Fernández (proposto dalla ex presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, che lo accompagna come sua vice), per misurare le forze in quello che sarà quasi un primo turno elettorale.
A pochi giorni dal voto, due espressioni definiscono lo scenario: «iperpolarizzazione», perché i due concentrano più dell’80% delle intenzioni di voto; e «parità tecnica», visto che nessuno possiede un vantaggio consistente sull’altro, stando gli ultimi sondaggi.
MACRI E FERNÁNDEZ sono i volti visibili sulle schede elettorali, ma ce ne sono di invisibili, altrettanto fondamentali, che entreranno a far parte della partita alle urne. Senza dubbio la carta principale nelle mani di Macri è il Fondo monetario internazionale che ha concesso proprio al suo governo il più alto prestito di tutta la sua storia, 57 miliardi di dollari.
Avranno un ruolo anche gli Stati uniti e le dichiarazioni di Mike Pompeo, segretario di Stato di Trump, che in una recente visita nel paese ha affermato che Macri «ha preso le giuste decisioni», e ha parlato di un «grande livello di cooperazione». Un’altra dimostrazione di sostegno è giunta da Paulo Guedes, ministro dell’Economia di Bolsonaro, in Brasile, che ha detto: «mi auguro che continui Macri», rivendicando la stretta relazione tra i due presidenti e qualificando la forza politica di Cristina Fernández de Kirchner come una «ideologia obsoleta».
Altri 260 indosseranno la camiseta di Macri: si tratta dei grandi imprenditori – dicono di rappresentare l’80% del Pil – organizzatosi nel gruppo Whatsapp «Nostra voce», per aderire alla linea del governo nazionale e indirizzarlo verso politiche a loro favorevoli in caso di rielezione. La più urgente – e da tempo presente sui media – è la riforma del lavoro.
UNA VERSIONE SUDAMERICANA del Jobs Act di cui Macri aveva già presentato un progetto in Congresso nel 2017, ma a cui i sindacati e lo stesso Congresso si erano opposti, compreso il senatore Miguel Ángel Pichetto, che oggi lo accompagna come candidato a vice-presidente. Da allora le forze sindacali parlano di una riforma per la flessibilità e l’eliminazione di diritti, come è stato fatto in Brasile nel 2017. Ciò risulta evidente anche dalle parole di imprenditori come il Ceo di Fiat Argentina, l’italiano Cristiano Rattazzi, il quale ha dichiarato che «deve essere molto più facile assumere e licenziare gente».
MACRI DA PARTE SUA aveva già detto che «il lavoro non lo difendiamo se continuiamo a elevare le cosiddette conquiste a discapito della produttività», mentre il suo ministro del Lavoro, Dante Sica, ha sostenuto giorni fa che «ci sono sempre meno posti di lavoro che richiedono un’attività fisica e che vengono occupati da robot». Tuttavia l’Argentina, che ha avuto un calo del 9,8% nella produzione industriale manifatturiera nei primi cinque mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018, è ben lontana dal trovarsi in un racconto di Asimov. Per quanto riguarda la candidatura Fernández-Fernández (FF) la sfida è prendere le dovute distanze dal precedente governo di Cristina, ma con quest’ultima in campo come vice per mantenere le adesioni dei kirchneristi, che mai voterebbero Macri.
Riguardo la riforma del lavoro, Fernández ha promesso ai sindacati che non verrà sostenuta perché non aiuta «a far ripartire l’economia». In merito al Fmi cerca di allontanare le paure dell’establishment mostrandosi come colui che ha saputo negoziare con l’organismo quando era Capo di gabinetto del presidente Néstor Kirchner. Al contempo, strizzando l’occhio ai progressisti dice che non accetterà tutte le condizioni che impone il Fondo. «I morti non pagano i propri debiti» aveva detto Néstor al Fmi, una delle frasi più citate in questi giorni. In campo culturale 150 artisti aderenti alla candidatura di Macri hanno affermato il loro appoggio assicurando «che sarebbe un grave arretramento per il paese tornare alle formule e ai metodi del passato» e che «la corruzione è stata negli anni precedenti un esempio estremo dell’uso dello Stato per il beneficio personale».
ALTRI 150, fra intellettuali e artisti, hanno chiamato a votare la formula «FF» considerando «l’Argentina è uno dei paesi più ingiusti del mondo». A loro volta, durante un evento all’Università di Buenos Aires, scienziati di primo livello hanno consegnato ad Alberto Fernández 8 mila firme in appoggio alla sua candidatura.
Tuttavia ciò che più gioca a favore di Fernández è un’agenda centrata sulla critica agli indicatori economici, nei quali il governo non ha nemmeno un successo da sbandierare. È difficile toccare con mano la realtà guardando solo alle percentuali, ma questa settimana è arrivata sui quotidiani la notizia forse più emblematica: le buste di formaggio grattugiato sono state dotate di anti-taccheggio in alcuni supermercati.
«Oro in polvere», scherzano alcuni, esempio dell’elevato costo della vita che secondo il termometro ufficiale indica un’inflazione interannuale superiore al 55% e un dollaro che vale 45 volte il peso argentino. «Il risultato per cui voglio essere giudicato è se si potrà o no ridurre la povertà», furono le parole di Macri alle presidenziali del 2015. Oggi, il paese che produce alimenti per sfamare 10 volte la propria popolazione, ha visto aumentare la povertà al 34,1%, secondo l’istituto nazionale di statistica (Indec).
Domenica Macri sarà giudicato per quello che lui stesso aveva indicato come riferimento per valutare il suo mandato.
* Fonte: IL MANIFESTO
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