Il ministro Speranza annuncia: «Ru486 in day hospital», l’Umbria si «adegua»

Il ministro Speranza annuncia: «Ru486 in day hospital», l’Umbria si «adegua»

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«Le nuove linee guida, basate sull’evidenza scientifica, prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana». L’annuncio del ministro della Salute Roberto Speranza, anticipato dal Messaggero venerdì sera, arriva con un tweet. Poche parole per dare un segnale chiaro e necessario – anche allo stesso governo – in questo momento.

«È un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194 che è e resta una legge di civiltà», è il messaggio che Speranza invia ai movimenti ultracattolici e di destra ancora sul piede di guerra contro la legge sull’aborto e in particolare contro l’uso della pillola Ru486 che in Italia è soggetto a restrizioni sconosciute nel resto d’Europa. «Siamo pronti ad adeguarci ad una chiara ed univoca linea del Ministero», gli fa eco la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, che a giugno, nel bel mezzo del lockdown, aveva costretto le donne a tre giorni di ricovero per assumere la Ru486, abolendo la delibera che dava il via libera al regime ambulatoriale firmata dalla precedente governatrice Catiuscia Marini. E non contenta aveva sollevato polemiche anche sulla decisione del ministro di chiedere un parere al Css prima di adeguare le linee guida.

È PASSATO UN MESE da quando la Rete italiana contraccezione e aborto Pro-choice ha consegnato nelle mani della sottosegretaria Sandra Zanda e di una rappresentanza dell’Aifa una petizione supportata da 80 mila firme, affinché il ministero aggiornasse le linee di indirizzo ferme al 2010. Lo prevede la stessa legge quando raccomanda «il ricorso alle tecniche più efficaci e aggiornate». Due le principali richieste del cartello di associazioni, partiti e sindacati Pro-choice: la possibilità di applicare il metodo farmacologico in regime di day hospital (dopo l’assunzione della Ru486 la donna può tornare a casa dove prenderà le prostaglandine con le quali si conclude il percorso abortivo), come già avviene anche in alcune regioni d’Italia, e la possibilità di estendere il ricorso alla pillola abortiva fino a 63 giorni di amenorrea (9 settimane). Ed è proprio su questo punto, la cui decisione è in capo anche all’Aifa, che si è arenato il percorso.

«L’AGENZIA DEL FARMACO italiana, infatti – spiega Anna Pompili, ginecologa dell’associazione Amica – dieci anni fa ha violato le procedure di mutuo riconoscimento della Comunità europea introducendo in Italia il farmaco con una limitazione alle 7 settimane, anziché 9 come era già in Francia, senza trasmettere all’Ema, l’Agenzia del farmaco europea, adeguate motivazioni». «Bravo il ministro Speranza, dunque – conclude Pompili – ma non ha fatto altro che ciò che ci si aspettava dai suoi predecessori nell’ultima decade». «Dieci anni – scrivono Pompili, Mirella Parachini e Filomena Gallo dell’associazione Luca Coscioni – durante i quali il diritto di scelta e il diritto alla salute di molte donne italiane è stato fortemente limitato per ragioni ideologiche che nulla avevano a che vedere con la medicina».

L’ANNUNCIO DEL MINISTRO Speranza è però, appunto, un annuncio ancora. Reso possibile ora grazie al parere positivo esplicitato dal Consiglio superiore di sanità, anche se non è chiara ancora la posizione dell’Aifa.

Fatto sta che la leghista Tesei (che era stata denunciata per danno erariale dal Partito radicale) ha fatto sapere di aver «già chiesto al Ministero della Salute di avere il parere del Css nonché le indicazioni su tempistiche e contenuti delle direttive ministeriali di adozione del provvedimento, così come annunciato dal Ministro».

QUANDO L’ANNUNCIO si trasformerà in realtà sarà una vittoria per tutti. Ora però, per intanto, la soddisfazione è grande per tutti coloro che in questi dieci anni si sono battuti per il rispetto della 194. «Finalmente si rende pienamente esigibile il diritto alla maternità consapevole», commenta la segretaria confederale della Cgil Rossana Dettori che plaude al riconoscimento, da parte del Css, del fatto «che non esistono evidenze scientifiche che sconsiglino la somministrazione dei farmaci preposti all’interruzione alla nona settimana». Tra i tanti, merita però una menzione speciale Silvio Viale, il ginecologo radicale che già nel 2009, alla comparsa della Ru486 in Italia, cominciò la somministrazione ordinaria del farmaco nell’ospedale Sant’Anna di Torino dove lavora tuttora.

* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto



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