Mediterraneo. Ennesima strage di donne e bambini, naufragio al largo di Lampedusa

Mediterraneo. Ennesima strage di donne e bambini, naufragio al largo di Lampedusa

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«Ennesimo naufragio» è ormai la formula di rito per le stragi annunciate che si ripetono nel Mediterraneo. L’ultima è avvenuta ieri prima dell’alba durante un soccorso della Guardia costiera tra Lampione e Lampedusa, a 5 miglia nautiche dalla costa. Cioè in uno dei tratti di mare a cui il premier Mario Draghi si era riferito nel question time alla Camera del 12 maggio scorso dicendo: «Nessuno verrà lasciato solo in acque territoriali italiane». Sette donne, di cui una incinta, hanno perso la vita. In dieci, tra cui pare anche molti bambini, risultano dispersi. 46 i sopravvissuti, 29 uomini e 17 donne. Due di loro sono state trasportate con l’elisoccorso a Palermo in gravi condizioni (una rischia di perdere il figlio che porta in grembo).

Secondo Mediterraneo Cronacaportale di informazione presente a Lampedusa, i 63 migranti erano partiti da Sidi Mansour, vicino alla città tunisina di Sfax, 175 chilometri a sud-ovest dell’isola italiana, forse addirittura due giorni prima. Un dettaglio importante per capire se la barca fosse alla deriva, vista la posizione poco comune in cui è stata raggiunta.

LE PERSONE si sono imbarcate in Tunisia, ma hanno origini subsahariane: Camerun, Costa d’Avorio, Mali, Togo, Guinea Bissau, Burkina Faso. «Erano sotto shock, zuppi, tremavano, con evidenti segni di ipotermia. Alcuni apparivano semicoscienti o in stato confusionale. Abbiamo provato a parlarci ma, a differenza di altre volte, è stato impossibile. Erano troppo sconvolti per aver visto morire i propri compagni di viaggio», racconta Elisa Biason, di Mediterranean Hope-Chiese Valdesi, presente al molo Favaloro. Con il Forum Lampedusa solidale ha distribuito coperte termiche e vestiti asciutti allo sbarco.

Nella ricostruzione della Guardia costiera si legge che alle prime ore del mattino «è giunta una segnalazione con telefono Gsm da un migrante a bordo di un barchino in difficoltà». Il mezzo era in quel momento a 7 miglia dalla costa. «Subito prima dell’inizio delle fasi del soccorso, l’unità si è capovolta, verosimilmente a causa dello spostamento improvviso dei migranti», continua il comunicato. In un video della Guardia costiera si vedono i soccorritori marittimi, figure specializzate in interventi critici in acqua, lottare tra le onde per salvare le persone.

IL PROCURATORE di Agrigento Luigi Patronaggio ha aperto un’inchiesta contro ignoti per naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non è escluso che sotto la lente dei magistrati, come accaduto altre volte, possano finire anche le tempistiche dei soccorsi. La Ong Sea-Watch sostiene che il suo aereo Seabird ha ascoltato via radio intorno alle 19 di martedì «la segnalazione da parte di un peschereccio alla Guardia costiera di Lampedusa di un barchino in difficoltà. Un natante di 8 metri bianco e rosso con circa 50 persone a bordo, come quello naufragato».

Il senatore Gregorio De Falco (gruppo misto) ha annunciato un’interrogazione parlamentare per approfondire l’aspetto della ricezione dell’Sos e chiedere al Presidente del Consiglio e ai ministri di Infrastrutture e Interno «se ci sono ordini scritti o direttive per i quali la Guardia costiera non effettua più soccorsi all’esterno delle 12 miglia da Lampedusa». Cioè se le parole di Draghi di metà maggio riflettano indicazioni per il corpo dello Stato che deve proteggere la vita umana in mare.

LA SCORSA settimana a Lampedusa sono giunte, in sbarchi piccoli ma continuativi, oltre 700 persone. Ieri altre 305 (sopravvissuti compresi) in sei diversi arrivi. Un carico di lavoro non indifferente per le motovedette di Guardia costiera e Guardia di finanza presenti sull’isola (circa sei). Anche perché le grandi navi militari Sar sono altrove. Il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura ha pubblicato le foto della Diciotti e della Gregoretti ancorate a Catania e Napoli. Ferme.

Come ferme, ma per altre ragioni, sono quasi tutte le navi Ong. Le Alan Kurdi, Sea-Eye 4, Sea-Watch 3 e 4 sono bloccate dai provvedimenti amministrativi che la Guardia costiera, che dipende dal ministero delle Infrastrutture, ha iniziato a distribuire a pioggia da maggio 2020. A quel tempo al ministero sedeva Paola De Micheli (Partito democratico), oggi Enrico Giovannini (in area centrosinistra).

QUESTE MISURE sono contestate non solo dalle Ong ma anche dagli Stati di bandiera delle loro navi, come Germania e Spagna. Perfino la Open Arms, giudicata dalle autorità la più virtuosa a ottobre 2020, è stata poi fermata a Pozzallo dal 17 aprile al 25 giugno 2021. La Geo Barents di Msf, con bandiera norvegese, ha terminato ieri la quarantena e ora teme il blocco. In rotta verso la zona Sar c’è la Ocean Viking. Ma una nave da sola non può fermare le stragi, soprattutto in estate, quando le partenze aumentano.

Intanto nel Mediterraneo trasformato in deserto, anche dagli altri paesi Ue che non vogliono saperne di missioni di soccorso istituzionali, spadroneggia la sedicente «guardia costiera libica». Dall’inizio dell’anno ha già catturato 15mila persone e ieri Seabird l’ha avvistata in zona Sar maltese. «Ha sparato in acqua per fermare un’imbarcazione con circa 50 persone e cercato di bloccare il motore con una corda», ha scritto l’Ong. I migranti sono riusciti a fuggire.

 

AGGIORNAMENTO, 1 LUGLIO, H 9:10

La Guardia costiera afferma che il caso segnalato da Seabird non è lo stesso della barca naufragata. Dopo la segnalazione del motopesca, fa sapere, «sul posto sono intervenuti i mezzi navali della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza che hanno tratto in salvo tutti i migranti», circa 50. Si tratterebbe dunque di due eventi Sar diversi.

* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto

 



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