Brasile. Elezioni o golpe? Il ruolo dell’esercito di Bolsonaro

Brasile. Elezioni o golpe? Il ruolo dell’esercito di Bolsonaro

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BRASILE. Elezioni di ottobre. Il presidente si scaglia contro il voto elettronico per rinnegare l’attesa sconfitta

 

È uno dei temi più presenti nel dibattito politico brasiliano: l’eventualità – per molti una certezza – che, alle elezioni presidenziali del 2 ottobre, Bolsonaro non accetti altro risultato che non sia la propria, peraltro improbabile, rielezione. Se c’è un dubbio al riguardo, è semmai sui tempi della sua offensiva golpista, se cioè prima o dopo le elezioni, e sul ruolo che giocheranno le forze armate.

Di certo, sono finalizzati a intorbidire le acque elettorali – e tenere la base mobilitata e pronta a intervenire – i suoi ripetuti attacchi al sistema elettorale, malgrado la sua manovra per l’introduzione del voto cartaceo sia stata sventata dalla Camera dei deputati già ad agosto del 2021.

MA IN SOCCORSO di Bolsonaro sono ora venuti anche i militari – mai tanto protagonisti sulla scena brasiliana dalla fine della dittatura – a cui il presidente propone addirittura di affidare una verifica parallela del voto. Ed è scattato subito l’allarme rosso sulla tenuta democratica del paese.
Che le forze militari stessero assumendo un più marcato ruolo politico, arrogandosi il diritto di intervenire in caso di crisi tra i poteri o di convulsione sociale, era risultato chiaro già nel 2018, quando, alla vigilia dell’arresto di Lula, il generale Eduardo Villas Bôas non aveva esitato a minacciare velatamente l’intervento delle forze armate nel caso di una sentenza della Corte Suprema favorevole all’ex presidente.

E a lanciare l’allarme era stata l’anno scorso anche Dilma Rousseff, mettendo in guardia dall’errore di «supporre che sarà facile togliere 11mila militari dal governo e farli tornare in caserma».
E che siano 11mila o “solo” 6mila come indicato invece dal rapporto del Tribunal de Contas da União del 2021, non ci sono dubbi che almeno una parte di essi stia intervenendo a gamba tesa nella campagna elettorale, sposando le critiche di Bolsonaro al sistema di voto elettronico che pure lo ha condotto alla guida del paese. Un argomento a cui il presidente ribatte sostenendo, ovviamente senza prove, che le elezioni del 2014 sarebbero state vinte da Dilma grazie alle frodi elettorali e che, senza brogli, lui avrebbe conquistato la presidenza nel 2018 già al primo turno.

Né è servito a qualcosa che il Tribunale superiore elettorale (Tse), guidato da Edson Fachin, abbia creato una Commissione di trasparenza elettorale con la partecipazione, oltre che del congresso e di diverse organizzazioni della società civile, anche delle forze armate, alle quali è stato così riconosciuto il diritto di pronunciarsi sulle elezioni. E i pronunciamenti, da parte dei militari vicini a Bolsonaro, sono risultati praticamente ininterrotti, avendo essi inviato, negli ultimi otto mesi, addirittura 88 critiche su presunte fragilità del voto elettronico – tutte in linea con il verbo bolsonarista – confutate dal Tse in 700 pagine di risposta.

NON MERAVIGLIA dunque che, secondo la stampa brasiliana, i consiglieri di Lula abbiano intensificato i contatti informali con i vertici delle forze armate a proposito del rischio di un golpe in caso di sconfitta di Bolsonaro, ricevendo al riguardo ampie rassicurazioni: i militari allineati al presidente, è stato loro risposto, non avrebbero la forza di realizzare una rottura istituzionale. Tanto più che, stando a un sondaggio di Datafolha, è l’82% della popolazione a confidare sulla bontà del voto elettronico: 13 punti in più che nel dicembre del 2020.

E se, per scongiurare possibili iniziative golpiste, c’è chi, sia all’interno del Senato che tra le organizzazioni della società civile, si sta attivamente mobilitando, persino il moderato Fachin ha assunto una volta tanto, rispetto ai “suggerimenti” dei militari, toni più netti: in tema di giustizia elettorale, ha detto, «chi ha l’ultima parola è il Tribunale elettorale. E così sarà durante la mia presidenza».

* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto



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