Carcere globale: migranti detenuti dalla Danimarca in Kosovo

Carcere globale: migranti detenuti dalla Danimarca in Kosovo

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ACCORDO CON PRISTINA A PARTIRE DAL 2023. All’inizio saranno 300. Al paese balcanico 15 milioni di euro l’anno

La Danimarca apre una colonia penale in Kosovo dove verranno trasferiti i migranti condannati per aver commesso un reato nel proprio territorio. E’ il risultato dell’accordo raggiunto tra Copenhagen e Pristina e al quale i governi dei due paesi stavano lavorando da mesi. Per la Danimarca si tratta di un modo per allentare il sovraffollamento delle proprie carceri mandando allo stesso tempo l’ennesimo messaggio di chiusura ai migranti. Messaggio reso ancora più chiaro e duro dalla notizia che, dopo Londra, anche Copenhagen sta lavorando a un accordo con il Ruanda per spedire nel paese africano i richiedenti asilo esaminando lì, a seimila chilometri di distanza, le richieste di protezione internazionale. Da parte sua il Kosovo incasserà 15 milioni di euro l’anno per prendere i detenuti, stando a quanto previsto dall’accordo la cui durata sarà inizialmente di cinque anni a partire dal 2023.

«La Danimarca sta inviando un segnale chiaro anche agli stranieri condannati alla deportazione: il tuo futuro non risiede in Danimarca e quindi non sconterai qui nemmeno la tua pena» ha spiegato nelle scorse settimane Nick Haekkerup, fino a ieri ministro della Giustizia danese, incarico che ha lasciato per ricoprire quello di presidente dell’Associazione danese birrai.

Negli anni passati altri Paesi avevano proposto di utilizzare i Balcani come una specie di serbatoio dove contenere i migranti intenzionati a raggiungere il Nord Europa attraverso la rotta balcanica. Il passaggio dalla teoria alla pratica l’ha fatto adesso Copenhagen, spinta soprattutto dalla necessità di alleggerire una situazione sempre più difficile che esiste nelle proprie carceri a causa di un numero sempre maggiore di detenuti. Dal 2015 la popolazione carceraria è cresciuta infatti del 19%, passando da 3.400 a 4.200, mentre il numero degli agenti di custodia è sceso da 2.500 a 2.000. Il governo conta di riformare l’intero sistema carcerario e per questo ha stanziato 6 miliardi di corone, pari a circa 538 milioni di euro. «In questo modo garantiamo condizioni di lavoro migliori ai nostri agenti penitenziari che hanno sopportato un fardello pesante per diversi anni», ha segato sempre Haekkerup.

L’accordo con Pristina rientra tra gli interventi previsti per decongestionare le prigioni. A essere trasferiti saranno per il momento 300 detenuti stranieri destinati alla prigione di Gjilan, situata a circa 50 chilometri da Pristina. Il provvedimento non riguarderà i condannati per terrorismo, i malati terminali o con problemi psicologici. «Abbiamo fatto il possibile per garantire che tutto rientri nelle regole. Si applicheranno esattamente le stesse regole delle carceri in Danimarca» , ha assicurato a dicembre Haekkerup aggiungendo che i detenuti espulsi potranno continuare e ricevere visite da parte dei familiari anche se, ha ammesso, «ovviamente sarà difficile».

Parole che non hanno certo rassicurato quanti si occupano della difesa di detenuti e migranti sia in Danimarca che in Kosovo, soprattutto per le cattive condizioni in cui si troverebbero i detenuti che si trovano nelle prigioni del paese balcanico.

Ma il giro di vite non riguarda solo coloro che si sono macchiati di un reato. La Danimarca prepara nuove e più rigide regole anche per i richiedenti asilo. Anzi, l’idea di spedire in Ruanda quanti chiedono la protezione internazionale fa parte di una legge sull’immigrazione approvata a giugno dello scorso anno e che adesso preoccupa non poco l’Unione europea. Londra ha poi bruciato i tempi stringendo per prima un accordo con Kigali per trasferire nel paese africano i migranti arrivati illegalmente nel suo territorio a partire dallo scorso primo gennaio, ma Copenhagen non demorde e si prepara a fare lo stesso esternalizzando di fatto l’esame delle richieste di asilo. Nel frattempo il governo ha chiesto ai profughi siriani di cominciare a pensare a un possibile rientro in patria nonostante il conflitto.

* Fonte/autore: Carlo Lania, il manifesto



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