Alluvione in Emilia-Romagna: «Sicurezza, si investe solo sull’onda emotiva»

Alluvione in Emilia-Romagna: «Sicurezza, si investe solo sull’onda emotiva»

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Giovanni Costa, direttore del Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale: «Manca una programmazione anno per anno per la messa in sicurezza idraulica, opere che non danno grande visibilità»

 

In Romagna le aree allagate dopo l’evento alluvionale di due settimane fa erano pari a circa 6mila ettari, a causa delle rotte arginali che avevano interessato ben tre fiumi, il Lamone, il Senio e il Sillaro, riversando oltre 120 milioni di metri cubi d’acqua che hanno letteralmente invaso la pianura. Domenica, prima dell’inizio della nuova situazione eccezionale, gli allagamenti interessavano un’area di appena 20 ettari, grazie al lavoro del Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale, la cui competenza, ricorda il direttore generale Giovanni Costa, riguarda «la rete dei canali artificali di scolo, cosa diversa rispetto ai corsi d’acqua naturali».

Le criticità indirizzano le autorità a spendere, ma manca una stabile programmazione per opere visibili solo in emergenza
Affrontare l’emergenza è stata una sorta di preparazione alla nuova emergenza, che nel tardo pomeriggio del 16 maggio riguarda almeno 12 corsi d’acqua: Savena, Lamone, Sillaro, Senio, Savio, Marecchia, Pisciatello, Marzeno, Ausa, Uso, Montone e Voltre. «A parita di precipitazioni, un evento può avere effetti più o meno dirompenti a seconda delle condizioni di permeabilità del suolo. Se è in grado di trattenere acqua, ne fa affluire di meno al corpo idrico. Quando il suolo è impermeabilizzato o infradiciato, come quello che accoglie le piogge del 16 maggio, c’è anche meno capacità di trattenere l’acqua» spiega Costa, che ricorda come l’emergenza continui almeno fino alle 12 di oggi.

In un comunicato diffuso il 15 maggio, nel ricordare il lavoro svolto dopo l’emergenza del 2 e 3 maggio, il Consorzio aveva ricordato l’importanza di programmare investimenti per realizzare opere strutturali di prevenzione dell’emergenza.
Siamo in un territorio fortemente antropizzato, in cui i corsi d’acqua naturale hanno pochi spazi in cui allargarsi, perché circondati da centri abitati, infrastrutture. Dal mio punto di vista, andare a pensare di ridimensionare da origine a foce i corsi d’acqua, ridando loro una sezione maggiore, avrebbe degli ostacoli insormontabili, tecnici (non c’è lo spazio) ed economici, andando ad interferire su mille attività. Stiamo parlando di eventi con un tempo di ritorno atteso secolare o di 50 anni o di 30, per le quali a mio avviso serve individuare aree da adibire ad invaso dove poter immettere le portare in eccesso, in occasione di eventi di carattere eccezionale, trattenendo l’acqua lì per poi restituirla al corso d’acqua cessata l’emergenza.

L’acqua che ci ha «invaso» a inizio maggio viene da corpi idrici non gestiti da noi e ha occupato le casse d’espansione progettate però per sostenere le piene dei canali, non quelle dei fiumi. Grazie alla cassa di espansione lungo il Canale dei mulini, ad esempio, si è riuscito a salvaguardare Solarolo, a valle del punto in cui è avvenuta la rottura dell’argine del Senio. Ha una capacità di 180mila metri cubi: non ha azzerato i problemi, ma evitato che fossero più gravi.

Queste opere sono, a suo avviso, in ritardo? Non esiste una strategia di adattamento? I fondi del Piano nazionale ripresa e resilienza non possono essere impiegati in questo ambito?
Per quanto riguarda il Pnrr, gli interventi sono prevalentemente focalizzati sulla resilienza alla siccità, che fino allo scorso anno era il problema sentito, perché venivamo da una stagione in cui il Po aveva raggiunto minimi storici. La principale preoccupazione era avere disponibilità di acqua per i vari usi. Per il nostro Consorzio, abbiamo ottenuto un finanziamento per opere preposte a creare un miglioramento nella distribuzione irrigua e anche a creare accumuli di risorsa idrica per affrontare i periodi siccitosi.

Noi abbiamo candidato un progetto di Bagnacavallo, nel ravennate, con la duplice funzione di accumulo di acqua ad uso irriguo e laminazione delle piene. Nel campo della sicurezza idraulica, in base alla mia esperienza, le risorse tendono però ad essere stanziate sull’onda emotiva di eventi eccezionali. È mancata programmazione con investimenti per opere che potessero consentire di affrontare eventi di questo tipo. Le criticità indirizzano le autorità preposte alla programmazione economico-finanziaria, ma se non c’è continuità non c’è stabilità. Manca una programmazione anno per anno per la messa in sicurezza idraulica, opere che non danno grande visibilità, difficili da percepire finché non si è in mezzo a un’emergenza. In condizione di «pace» è difficile che ci sia l’adeguata attenzione a investimenti di questo tipo.

* Fonte/autore: Luca Martinelli, il manifesto



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