Appena ottenuto il via libera del congresso dei deputati al suo nuovo esecutivo, il primo viaggio intrapreso dal leader socialista giovedì scorso è stato proprio in Israele, nella sua doppia veste di capo del governo spagnolo e presidente di turno dell’Unione europea. E proprio il giorno che doveva iniziare la tregua dei bombardamenti israeliani sulla striscia Gaza. Nel viaggio lo ha accompagnato il premier belga Alexander de Croo, che guiderà l’Unione a partire dal primo gennaio.

Sánchez non ha usato giri di parole: il numero di civili uccisi a Gaza «è realmente insopportabile», ha detto. La risposta agli attacchi di Hamas non può portare alla «morte di civili innocenti, compresi migliaia di bambini» e «la via della pace vuol dire uno stato palestinese che comprenda Gerusalemme Est, la West Bank e Gaza», facendo appello alle risoluzioni dell’Onu.

«LEI DEVE FERMARE urgentemente la catastrofe umanitaria in Gaza», gli ha detto in inglese, perché «la sofferenza di centinaia di migliaia di persone è insopportabile». E ha aggiunto che «i civili devono essere protetti a tutti i costi». Il tutto ammettendo che Israele ha il diritto di difendersi, ma «rispettando il diritto internazionale».

Queste stesse parole Sánchez le ha ripetute anche venerdì a Rafah, al confine egiziano, dopo aver incontrato assieme al suo omologo belga il presidente egiziano al-Sisi: «Israele ha diritto a difendersi, però nei parametri e limiti che impone il diritto internazionale, e questo non è il caso. L’assassinio indiscriminato di civili innocenti, compresi migliaia di bambini e bambine è completamente inaccettabile. La violenza porta solo ad altra violenza».

ISRAELE HA REAGITO ISTERICAMENTE venerdì sera a queste ultime dichiarazioni, che ricalcavano esattamente quelle ascoltate da Netanyahu il giorno prima, convocando gli ambasciatori di Spagna e Belgio, e accusando la Spagna di dare appoggio al terrorismo. A sua volta il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha convocato l’ambasciatrice israeliana a Madrid per trasmettere l’indignazione dell’esecutivo spagnolo rispetto a queste accuse «totalmente false e inaccettabili». La crisi diplomatica internazionale è al massimo, e – cosa inusuale in questi casi – il partito popolare ha deciso di mettersi dal lato del governo israeliano accusando Sánchez di essere «imprudente».

Il leader socialista sembra così dare seguito alla promessa fatta durante l’investitura di voler riconoscere lo stato palestinese, cosa che gli avevano chiesto insistentemente prima i ministri di Podemos (in maniera apparentemente estemporanea, in pieno processo di negoziazione per la formazione del governo), e poi la stessa Sumar.

UNA DELLE MINISTRE scelte dalla coalizione di sinistra, Sira Rego, di Izquierda Unida, è di origini palestinesi, e la sua famiglia vive a Gaza.

Se davvero la Spagna decidesse di riconoscere lo stato palestinese, come ha ripetutamente affermato Sánchez in questi ultimi giorni, sarebbe un gesto simbolico di enorme importanza, che potrebbe infrangere il muro europeo. Anche se ci sono 139 paesi (dei 193 che conformano l’Onu) che già riconoscono formalmente la Palestina, e anche se il paese dal 2012 è membro «osservatore» dell’Onu – cosa che dà il diritto, fra gli altri, di accedere alla Corte penale internazionale – non c’è neppure un paese europeo che lo faccia. La Spagna sarebbe il primo, e potrebbe essere seguito da altri paesi.

SENZA IL PLACET DEGLI STATI UNITI naturalmente questo non cambierebbe immediatamente le sorti della Palestina, ma potrebbe innescare un processo che in Europa neppure i selvaggi bombardamenti di queste settimane sembrava riuscissero ad attivare. Ancora una volta Sánchez dimostra di avere un mix di coraggio e fiuto politico nello scegliere il momento giusto per dare un colpo ad effetto.

* Fonte/autore: Luca Tancredi Barone, il manifesto